2016-06-15 13:58:00

Terrorismo. Premier francese Valls: ci saranno altre vittime


Francia e Stati Uniti hanno deciso di "aumentare ancora la cooperazione tra i loro servizi di sicurezza di fronte a una minaccia che evolve continuamente”. E’ quanto si legge in una nota diffusa dall'Eliseo al termine del colloquio telefonico tra Francois Hollande e Brarack Obama, tenutosi ieri sera in seguito agli attentati rivendicati dall'Isis a Orlando e Magnanville . Il servizio di Marco Guerra:

Opporre la forza delle democrazie alla barbarie, dicono Hollande e Obama, mentre nei rispettivi Paesi proseguono le indagini sugli attacchi e infuriano le polemiche sulla sicurezza. “Il Presidente è arrabbiato più con me che con il killer di Orlando" attacca ancora il candidato repubblicano Donald Trump, dopo che Obama lo aveva accusato di tradire i valori dell’America. Intanto emerge che l’autore della strage, Omar Mateen, era frequentatore abituale del locale gay 'Pulse', che aveva effettuato ricerche di materiale di propaganda jihadista e che accusava l’America di bombardare il suo Paese di origine, l’Afghanistan. E secondo fonti Fbi citate dalla stampa Usa, la moglie del killer sapeva dell’attacco e sarà incriminata nelle prossime ore. Allerta massima nel frattempo in Francia; il premier Manuel Valls ha detto che il Paese dovrà combattere almeno per una generazione il terrorismo e che altre persone innocenti perderanno la vita, perché il Califfato arretra in Siria e Iraq e si proietta in Occidente. Sulle reali prospettive di cooperazione tra Stati Uniti e Paesi europei e sulla proiezione internazionale dello Stato Islamico abbiamo raccolto l’analisi di Paolo Branca, docente di Storia dei Paesi arabi presso l'Università Cattolica di Milano:

R. – Sicuramente ce una grande necessità di cooperazione; che poi questo si traduca in uno scambio più intenso ed efficace di segnalazioni, files e dati, ce lo auguriamo tutti. Purtroppo però sappiamo che poi ci sono degli aspetti burocratici, o talvolta perfino una specie di concorrenza tra i vari apparati di sicurezza, anche interni allo stesso Paese, che non sempre rendono così immediato l’accesso a informazioni sensibili. E probabilmente da questo punto di vista bisogna impegnarsi di più.

D. – È ancora legittimo parlare di “lupi solitari” o dobbiamo abituarci a un terrorismo polverizzato?

R. – Da un certo punto di vista penso di sì, che siano ancora dei lupi solitari, perché credo che l’iniziativa la prendano da soli, e spesso si è visto che hanno un background abbastanza problematico: sono persone instabili o con un passato travagliato. C’è però una specie di brodo di coltura, per cui persone che hanno già dei problemi, che sono un po’ borderline, oggi è più facile che si ispirino a ideologie e slogan di marca religiosa-fondamentalista che non a ideologie invece più laiche, come era nel passato,  o a elementi razziali e nazionalistici.

D. – In molti casi c’è anche un collegamento, magari anche in passato, con ambienti terroristici…

R. – Sì, ambienti che però sono a volte più virtuali che reali. Insomma, sono persone che più che andare nelle moschee frequentano siti web. Siamo di fronte a un paradosso: sembrano delle persone che vengono dal passato, con una mentalità medioevale per quello che fanno; ma lo fanno attraverso la rete che è forse uno degli elementi più sofisticati della tecnologia moderna.

D. – Il premier francese Valls ha detto che ci saranno nuove vittime innocenti. Sembra quasi impossibile prevenire attacchi di questo tipo?

R. – Temo di sì, per il fatto – appunto – che sono così polverizzati, non organizzati. È la democrazia stessa che, per definizione, è un sistema debole: se avessimo poliziotti o soldati a ogni angolo di strada non saremmo una democrazia; saremmo probabilmente più sicuri contro eventi di questo genere, ma perderemmo ovviamente in stile di vita, libertà e garanzie.

D. – Secondo una recente statistica, la jihad globale negli ultimi due anni ha fatto almeno 1200 vittime fuori dai territori del Califfato. Forse, bisogna rivedere la definizione che voleva il sedicente Stato islamico, concentrato solo sui territori che controlla; mentre si diceva che Al Qaeda era l’organizzazione che aveva invece più una prospettiva internazionale?

R. – La distinzione – secondo me – rimane. Al Qaeda non aveva un territorio che governava o che pretendeva di governare; mentre il vuoto che si è creato, soprattutto tra Siria e Iraq, ha permesso all’Is almeno di presentarsi in questo modo. Ciò non toglie che comunque obiettivi sensibili, soprattutto Occidentali – anche perché poi anche molto visibili e mediatizzati – rimangono parte di una strategia del terrore globalizzata; e tanto più che adesso sul terreno sembra che l’Is stia perdendo posizioni, e il pericolo che si vendichi in modo trasversale purtroppo aumenta. Lo abbiamo già visto con quelli che erano stati in Afghanistan contro i russi, o quelli che hanno distrutto l’Algeria ecc., ma anche persone che non sono mai state effettivamente nei territori dell’Is, e che però simpatizzano con questa causa. Hanno poi tanti problemi personali che si illudono di risolvere con un gesto plateale. Temo che queste cose non scompariranno e anzi – come dicevamo – adesso, nella fase più acuta della reazione, della coalizione contro l’Is, potrebbero perfino aumentare.








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