2016-06-14 14:33:00

Parigi e Orlando: due attacchi diversamente ispirati all'Is


“E' un atto incontestabilmente terroristico": lo ha detto il Presidente francese Francois Hollande questa mattina, a proposito dell'uccisione, ieri sera vicino a Parigi, di una coppia di poliziotti. Ad ucciderli il 25.enne Larossi Abballa, il cui telefono era già sotto controllo della magistratura francese. Il capo dell'Eliseo ha aggiunto che "il livello di minaccia del terrorismo è alto", ma che vale "per tutti, non solo per la Francia". Solo domenica la sparatoria in una discoteca ad Orlando negli Usa per mano di Omar Mateen un giovane cittadino americano di origini afghane. Entrambi gli attacchi sono stati rivendicati dall’Is, ma quanto è reale che dietro a queste violenze ci siano davvero gli jihadisti? Adriana Masotti lo ha chiesto a Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto Affari Internazionali:

R. – Dietro, come ispirazione o alibi ideologico, probabilmente sì, nella testa degli attentatori in qualche misura; ma molto probabilmente no in termini di effettivo collegamento operativo o gerarchico. L’impressione è che lo Stato Islamico usi questi episodi per dare un’immagine di sé molto più potente di quella che è. D’altra parte questa è una cosa che hanno anche teorizzato: hanno sempre detto che quelli che vogliono fare attacchi terroristici, debbono farlo di loro iniziativa, dove vogliono e come vogliono: quindi non c’è una vera strategia, se non quella di cercare di diffondere un’immagine di terrore.

D. – L’obiettivo potrebbe essere quello di punire una società che, secondo una certa mentalità, è negativa e non va bene?

R. – Sì, è un obiettivo generico: da una parte, propagandistico dello Stato Islamico nel mondo musulmano; e dall’altra, nei nostri confronti, è un tentativo di fragilizzare le nostre società, di chiuderle in difesa e di dire “per quante cose voi ci possiate fare, ci potete anche bombardare, però poi – in ultima analisi – rimaniamo una minaccia nei vostri confronti.

D. – Dando rilievo a queste rivendicazioni noi rischiamo di stare al loro gioco. E’ questo che vogliono?

R. – Questo: naturalmente è inevitabile che il sistema di informazione – così pervasivo nel nostro mondo – finisca per funzionare anche come un amplificatore. Però, allo stesso tempo, devo dire che chi non si limita soltanto a leggere il titolo shock sul giornale, vede che di fatto ha di fronte personaggi e situazioni estremamente diversificate e spesso gente che è sostanzialmente squilibrata nel complesso, che però naturalmente - grazie ad una sua disponibilità di armi o al fatto che agiscono cono disprezzo della loro stessa vita – possono fare vittime.

D. – Il killer della coppia francese pare abbia scritto un messaggio in cui invita ad uccidere poliziotti, secondini, giornalisti, rapper durante questi Europei di Calcio. “Sarà un cimitero”: scrive. Chiaramente tutta questa frammentazione rende anche più difficile prevenire questi atti?

R. – Sì, certamente. Diciamo che questo killer francese sembra abbastanza nella linea degli altri terroristi che hanno agito in Francia e in Belgio: questa era una persona che aveva avuto dei contatti con il terrorismo internazionale ed era già stato in prigione. C’è evidentemente una filiera di reclutamento e di auto-reclutamento all’interno delle prigioni e diciamo che anche l’odio per il poliziotto può essere spiegato in questo modo.

D. – Abbiamo parlato degli Europei, ma presto ci saranno anche le Olimpiadi in Brasile: insomma ogni occasione di grande riunione di persone può essere un’altrettanta occasione per attentati?

R. – Sì, semplicemente perché è una occasione per aumentare l’impatto mediatico. L’uccisione di un poliziotto e di sua moglie, nella periferia di Parigi, non ha nulla a che fare con gli Europei di calcio, però in questo momento ha una maggiore risonanza.

D. – Ci troviamo, comunque, di fronte ad una situazione mondiale veramente preoccupante, inquietante…

R. – Certamente. Quello che è preoccupante non è tanto il numero degli attacchi – abbiamo avuto cose peggiori! – ma è l’irrazionalità e la polverizzazione di questa cosa: il fatto cioè che possano avvenire – questo tipo di attacchi, rivendicati come terrorismo – da persone che sono difficilmente individuabili. Questo è quello che spaventa, in un certo senso, e che crea questa situazione di incertezza generale. La violenza è una violenza soprattutto meno organizzata, ispirata da Internet e chiunque può leggere Internet, anche se sta solo nel suo appartamentino o sotto un ponte… In un’ultima analisi io credo che la maggiore difesa non possa che essere di tipo sociale: questa gente difficilmente può essere sempre individuata dalle azioni di polizia e quindi è la collaborazione della società in cui vivono che è la chiave per il successo.








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