2016-06-13 19:26:00

Obama: a Orlando terrorismo domestico. Nessuna rete dietro killer


“Terrorismo nato in casa nostra, domestico”. Così il presidente Obama definisce la strage di Orlando, nel locale gay Pulse, dove il giovane americano di origini afghane Omar Mateen, ha ucciso 49 persone. Tante le polemiche mentre le indagini continuano su più fronti e l’angoscia della famiglie cresce, specie per gli oltre 50 feriti in condizioni gravi. Di ”violenza indicibile, che ricorda quanto sia preziosa la vita”, parlano i vescovi statunitensi esprimendo tutta solidarietà alla cittadinanza coinvolta. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Non c’è nessuna prova che il killer di Orlando sia stato guidato da estremisti o che abbia fatto parte di un complotto piu' ampio. Così, il presidente Obama limita la portata della rete terroristica internazionale con cui l’Is si assume la paternità del gesto del 29enne guardia giurata, Omar Mateen, definito anche oggi un "soldato" dal califfato. Una rivendicazione posticcia dunque, difronte ad un estremismo cresciuto entro i confini nazionali come nel caso della strage di san Bernardino. Stessa versione la dà alla stampa il capo dell’Fbi che, ricostruendo i contatti avuti con il killer sin dal 2013, dopo una denuncia da parte dei colleghi, dipinge una persona psicologicamente disturbata, confusa, che voleva diventare un martire, che aveva dato il suo appoggio prima ad Al Qaeda poi ad Hezbollah, nemico del califfato. Un uomo che aveva giurato fedeltà all’Is, probabilmente radicalizzato attraverso internet dato che finora, ribadisce l'Fbi, non c’è prova di complotto esterno, anche se alti sarebbero indagati per la strage.le indagini proseguono, ma è chiaro che non si capisce nè il peso della componente omofoba di Mateen né quale gruppo islamista lo abbia ispirato. Intanto fioccano le polemiche: sulle armi, che Obama e la Clinton mettono in stato di accusa, e sui musulmani. No alla strumentalizzazione dicono entrambi, mentre il rivale nelle primarie, Donald Trump, tuona sia  contro gli immigrati che contro i musulmani che, dice, non collaborano con le autorità nell'individuazione degli estremisti. 

Sulla matrice dell’attacco e le ripercussioni politiche sentiamo al microfono Marco Guerra, il commento di Tiziano Bonazzi, docente di Storia americana all’Università di Bologna:

R. – Il radicalismo islamico sicuramente è omofobo: questo lo si è sempre saputo e di conseguenza è chiaro che una persona che sia stata radicalizzata, anche se quasi certamente non è collegata direttamente all’Isis ma lo è ideologicamente, possa scegliere di attaccare un club gay in quanto in questo modo da un lato attacca, secondo lui, una perversione condannata religiosamente e dall’altro fa valere il suo ideale di nuovo Stato islamico.

D. – Si tratta di un cittadino di seconda generazione, americano: questo pone molti interrogativi sui processi di integrazione. Quindi, come si combatte una guerra dichiarata da alcuni dei nostri stessi connazionali?

R. – Il problema, secondo me, è un problema irrisolvibile per una semplice ragione, che in qualunque modo ci sia un processo di integrazione – e negli Stati Uniti questo processo di integrazione è avvenuto – possono esserci sempre, e sempre ci sono, delle frange che possono radicalizzarsi al punto di iniziare attività terroristiche su una base di piccolissimi gruppi o su una base individuale. Non ritengo che attacchi di questo genere possano far pensare a un fallimento dell’integrazione, ma che si debba ritenerli – fra virgolette – normali all’interno di una situazione politica così accesa e così grave come quella in cui ci troviamo.

D. – Gli Stati Uniti come reagiranno? Ci saranno ripercussioni sulla campagna elettorale, sull’indice di popolarità dei due candidati?

R. – Sicuramente, le conseguenze ci saranno. E’ chiaro, questa è una carta che Trump si può giocare facilmente. E' già stata giocata contro il presidente Obama che nel suo discorso si è rifiutato di parlare di radicalismo islamico come una delle cause dell’attentato – e a mio parere ha sbagliato, ma questo è del tutto secondario. Penso che la Clinton sarà estremamente più precisa e molto più cauta a non parlare di radicalismo islamico, perché sa benissimo che non può lasciare questa carta completamente nelle mani del suo avversario.

D. – Questa strage riapre poi anche l’annoso dibattito sulle armi. Si apprende che il killer ha potuto acquistare armi nonostante fosse stato interrogato tre volte dall’Fbi per sospetti legami al terrorismo. Insomma, a che punto sono gli sforzi per fermare la diffusione incontrollata delle armamenti?

R. – Gli sforzi sono quasi completamente bloccati e continueranno a esserlo a lungo. Un cittadino americano ha “diritto”, a seconda delle varie legislazioni statali e della legislazione federale, di avere armi anche se l’Fbi lo sta seguendo, a meno che non abbia compiuto prima degli atti che abbiano una rilevanza penale. E per quanto riguarda poi la battaglia per il controllo degli armamenti, bisogna sapere che moltissimi cittadini americani ritengono che questo sia un loro diritto contenuto nella Costituzione. Certamente, è contenuto nella Lettera della Costituzione, ma la Costituzione non dice in che modo sia regolamentato: questo dipende dalle leggi e questo dipende dalla cultura del momento. Al momento, non vedo ci sia grande possibilità di un controllo effettivo nella vendita delle armi.

D. – C’è chi punta il dito contro la cosiddetta “lobby delle armi”…

R. – Il lobbismo è regolamentato per legge, negli Stati Uniti, per cui è evidente che qualunque industria, anche quella delle armi, faccia lobby presso il parlamento, presso l’opinione pubblica per difendere e per ampliare il proprio mercato. Da questo punto di vista, non c’è nulla che possa essere considerato sbagliato se ci mettiamo non da un punto di vista esterno, ma da un punto di vista interno alla cultura statunitense.








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