2016-06-13 14:23:00

L’Is rivendica strage di Orlando, il dolore di Francesco


"Follia omicida e di odio insensato". Con queste parole Papa Francesco esprime il proprio dolore per la strage avvenuta a Orlando in Florida, la peggiore per gli Usa dopo l’11 settembre 2001. La sparatoria, avvenuta in un club gay, è costata la vita a 50 persone e ha lasciato sul terreno 53 feriti, alcuni dei quali gravi. La polizia, che ha ucciso l’attentatore di origini afghane, lo ha definito un "attacco terroristico". L'Fbi indaga per “terrorismo islamico”. Il servizio di Marco Guerra:

Il sedicente Stato islamico ha rivendicato la strage nel night club gay di Orlando, definendola un’opera di "Un soldato del Califfato in America". I siti jihadisti celebrano la strage sul web, ma al momento non è chiaro se ci sia un collegamento diretto tra l’attentatore e i seguaci del califfo. Le piste restano quelle dell’azione omofoba e del terrorismo. Obama ha parlato di atto di terrore e odio. Polemiche sulla diffusione delle armi e sull’operato dell’Fbi. Il killer, Omar Mateen, classe 1986, era stato infatti due volte indagato per contatti con ambienti terroristici. Condanne da tutta la comunità internazionale compresa la Lega Araba. Sulla matrice dell’attacco e le ripercussioni politiche il commento di Tiziano Bonazzi, docente di storia americana all’Università di Bologna:

R. – Il radicalismo islamico sicuramente è omofobo: questo lo si è sempre saputo e di conseguenza è chiaro che una persona che sia stata radicalizzata, anche se quasi certamente non è collegata direttamente all’Isis ma lo è ideologicamente, possa scegliere di attaccare un club gay in quanto in questo modo da un lato attacca, secondo lui, una perversione condannata religiosamente e dall’altro fa valere il suo ideale di nuovo Stato islamico.

D. – Si tratta di un cittadino di seconda generazione, americano: questo pone molti interrogativi sui processi di integrazione. Quindi, come si combatte una guerra dichiarata da alcuni dei nostri stessi connazionali?

R. – Il problema, secondo me, è un problema irrisolvibile per una semplice ragione, che in qualunque modo ci sia un processo di integrazione – e negli Stati Uniti questo processo di integrazione è avvenuto – possono esserci sempre, e sempre ci sono, delle frange che possono radicalizzarsi al punto di iniziare attività terroristiche su una base di piccolissimi gruppi o su una base individuale. Non ritengo che attacchi di questo genere possano far pensare a un fallimento dell’integrazione, ma che si debba ritenerli – fra virgolette – normali all’interno di una situazione politica così accesa e così grave come quella in cui ci troviamo.

D. – Gli Stati Uniti come reagiranno? Ci saranno ripercussioni sulla campagna elettorale, sull’indice di popolarità dei due candidati?

R. – Sicuramente, le conseguenze ci saranno. E’ chiaro, questa è una carta che Trump si può giocare facilmente. E' già stata giocata contro il presidente Obama che nel suo discorso si è rifiutato di parlare di radicalismo islamico come una delle cause dell’attentato – e a mio parere ha sbagliato, ma questo è del tutto secondario. Penso che la Clinton sarà estremamente più precisa e molto più cauta a non parlare di radicalismo islamico, perché sa benissimo che non può lasciare questa carta completamente nelle mani del suo avversario.

D. – Questa strage riapre poi anche l’annoso dibattito sulle armi. Si apprende che il killer ha potuto acquistare armi nonostante fosse stato interrogato tre volte dall’Fbi per sospetti legami al terrorismo. Insomma, a che punto sono gli sforzi per fermare la diffusione incontrollata delle armamenti?

R. – Gli sforzi sono quasi completamente bloccati e continueranno a esserlo a lungo. Un cittadino americano ha “diritto”, a seconda delle varie legislazioni statali e della legislazione federale, di avere armi anche se l’Fbi lo sta seguendo, a meno che non abbia compiuto prima degli atti che abbiano una rilevanza penale. E per quanto riguarda poi la battaglia per il controllo degli armamenti, bisogna sapere che moltissimi cittadini americani ritengono che questo sia un loro diritto contenuto nella Costituzione. Certamente, è contenuto nella Lettera della Costituzione, ma la Costituzione non dice in che modo sia regolamentato: questo dipende dalle leggi e questo dipende dalla cultura del momento. Al momento, non vedo ci sia grande possibilità di un controllo effettivo nella vendita delle armi.

D. – C’è chi punta il dito contro la cosiddetta “lobby delle armi”…

R. – Il lobbismo è regolamentato per legge, negli Stati Uniti, per cui è evidente che qualunque industria, anche quella delle armi, faccia lobby presso il parlamento, presso l’opinione pubblica per difendere e per ampliare il proprio mercato. Da questo punto di vista, non c’è nulla che possa essere considerato sbagliato se ci mettiamo non da un punto di vista esterno, ma da un punto di vista interno alla cultura statunitense.








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