2016-05-31 15:14:00

Nel mondo 46 milioni di schiavi moderni, 18 in India


46 milioni: è il numero di schiavi moderni nel mondo rilevato dal Global Slavery Index, elaborato dalla Organizzazione non governativa australiana, Walk Free Foundation. Francesca Sabatinelli:

Lavoratori forzati, costretti ad elemosinare, a prostituirsi, ad arruolarsi anche se minorenni. Sono 45,8 milioni gli schiavi nel mondo, come riportato dal Global Slavery Index, un report che mette in cima alla classifica dei Paesi con il maggior numero di schiavi moderni India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. Con la posizione dell’India che varia, a seconda che si prenda il numero di schiavi in relazione alla percentuale di popolazione, e in questo caso troviamo in prima posizione la Corea del Nord, seguita da Uzbekistan e Cambogia, oppure in relazione al numero assoluto di persone coinvolte nel drammatico fenomeno, ed è qui che l’India, con i suoi 18 milioni,  guadagna il primo posto, tenendo presente anche che – spiega Grace Forrest, una delle fondatrici della ong – in India “esistono tutte le forme di moderna schiavitù, compresi il lavoro coatto inter-generazionale e quello dei bambini, lo sfruttamento sessuale, l'obbligo di mendicare, il reclutamento in movimenti armati irregolari, ed i matrimoni forzati di donne e bambine". Quantificare il numero reale dei cosiddetti nuovi schiavi nel mondo resta comunque molto difficile, come spiega Chiara Cattaneo, Program manager della campagna di Manitese, contro la schiavitù moderna, “I Exist”:

R. – E’ un fenomeno sommerso, ovviamente, e quindi difficilmente quantificabile, per due ragioni principali: la prima è che non tutti gli Stati adottano le stesse rilevazioni e le raccolgono nello stesso modo e quindi abbiamo dati discrepanti; la seconda è che la raccolta di questi dati, per quanto riguarda soprattutto le agenzie delle Nazioni Unite e le fonti degli Stati, si basa su una legislazione che data oltre 50 anni fa. Nonostante sia stata poi nel tempo aggiornata, è una legislazione che fatica a stare al passo con la situazione attuale.

D. – Viene specificato che si tratta di schiavi moderni. Cosa significa?

R. – Significa, innanzitutto, lavoro forzato, come vediamo anche in alcuni dei Paesi che emergono con forza dal Report, in alcuni dei quali il lavoro forzato è imposto dallo Stato,  come nel caso della Corea del Nord. Significa lavoro minorile, significa trafficking, quindi sfruttamento delle vittime di trafficking in primis per sfruttamento sessuale. La cosa interessante di questo Report, al di là dei numeri, mi sembra sia lo sforzo che fa per misurare quella che chiamano la vulnerabilità, che è sicuramente un punto che trova concordi tutte le varie organizzazioni che si occupano di schiavitù moderna. La vulnerabilità, quindi, prima di tutto dettata dalla povertà, dalle condizioni politiche, dalla questione del genere. Ci sono categorie di popolazione molto più vulnerabili, che sono le donne e i minori.

D. – Il Rapporto sottolinea il fatto che sia l’India a detenere il titolo di Paese leader mondiale della schiavitù moderna...

R. – In realtà, il trend che viene evidenziato, sia in questo Report che nei Report precedenti, è un trend in diminuzione. L’India sta facendo molto per affrontare questo problema. La prevalenza è in aumento, nel senso che il numero assoluto aumenta, ma la percentuale di persone schiave sul totale della popolazione è in diminuzione. Ovviamente ragioniamo su grandissimi numeri, quindi è un problema che l’India sta cercando di affrontare da diversi angoli. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un nettissimo progresso sulla legislazione dedicata all’istruzione. Riconoscono, quindi, che mantenere i bambini a scuola è un fattore chiave per affrontare, ad esempio, il lavoro minorile. Il dato ha molto impatto (18 milioni di schiavi ndr), ma bisogna inserirlo in un trend che è comunque in diminuzione.

D. – Qual è la situazione che più vi preoccupa?

R. – Più che identificare un singolo Paese, la cosa che più ci preoccupa è quando questo diventa sistema. All’interno del nostro programma, abbiamo identificato tre macro manifestazioni della schiavitù moderna, che sono lo sfruttamento del lavoro minorile, il trafficking, quindi il traffico di esseri umani, e lo sfruttamento del lavoro nelle filiere, quindi nelle attività produttive. Quello che ci preoccupa è che queste forme di schiavitù vengano messe a sistema, quindi che entrino a far parte del sistema di produzione, del sistema di consumo, del sistema “normale”. La nostra preoccupazione è che venga affrontata questa chiave di sistema e che si facciano degli sforzi perché a cambiare sia il sistema, nel suo complesso. Quello che invitiamo a fare è una riflessione anche su quanto i nostri beni di consumo quotidiano possano essere frutto del lavoro schiavo e quindi invitiamo pure ad una maggiore consapevolezza dei cittadini, dei consumatori, parallelamente ovviamente degli Stati e degli attori economici, che devono fare in modo che nelle loro catene di produzione non venga sfruttato il lavoro schiavo. Sembra una cosa distante da noi, perché abbiamo parlato appunto di India, Cambogia e Corea del Nord. In realtà, però, buona parte di questo lavoro schiavo va poi a produrre beni che per noi sono beni quotidiani. E’ un fenomeno, dunque, da cui l’Italia non è completamente esente:  dallo sfruttamento della prostituzione minorile ai pomodori che vengono coltivati nei nostri campi con il lavoro schiavo, ai gamberetti, al pesce che viene pescato con il lavoro schiavo nel Sud-Est asiatico. La cosa importante, quindi, è non relegare questo fenomeno ad un mondo distante da noi, completamente estraneo a noi.








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