2016-05-29 14:37:00

Un libro ricorda Fabio Maniscalco, archeologo in trincea


Un pioniere nella tutela dei beni culturali nelle aree di crisi: all’archeologo Fabio Maniscalco, stroncato da un tumore nel 2008 a causa dell’esposizione ad uranio impoverito nei Balcani, è dedicato il libro edito da Skira: “Oro dentro. Un archeologo in Trincea: Bosnia, Albania, Kosovo, Medio Oriente”. Il volume è stato presentato a Roma con gli autori Giovanni Rispoli e Laura Sudiro. A quest’ultima Paolo Ondarza ha chiesto un ricordo di Fabio Maniscalco:

R. – Fabio Maniscalco era un archeologo di formazione classica, specializzato in archeologia subacquea. E’ conosciuto soprattutto per la sua attività volta alla salvaguardia del patrimonio culturale nelle aree di guerra, nelle aree di crisi. Fabio è stato assolutamente un pioniere in questo tipo di ricerche. Nel ’96, quando si recò come ufficiale volontario in Bosnia, coltivava già l’idea di monitorare il patrimonio culturale di quella regione devastata dalla guerra, dopo i trattati di Dayton appena firmati. E lì non venne autorizzato dall’esercito e gli venne detto di monitorare il patrimonio artistico di Sarajevo, ma nel tempo libero. Fondamentalmente quindi anche a suo rischio e pericolo. Come fece a convincere i suoi superiori? Raccontò loro della Convenzione dell’Aja del ’54, che prevede che si costituisca all’interno delle forze armate un nucleo di tutela, specializzato appunto nella tutela dei beni culturali, una task force quindi, vera e propria, di specialisti che tutelano e monitorano i beni culturali nelle aree di crisi durante i conflitti.

D. – Un segno di speciale attenzione ai beni culturali questo?

R. – Assolutamente sì. Tra l’altro, il simbolo della Convenzione dell’Aja, lo scudo blu, non era assolutamente conosciuto. E’ un simbolo che va esposto, che andrebbe, per meglio dire, esposto durante le guerre. Con queste argomentazioni assolutamente convincenti, dunque, riuscì a convincere il comandante del contingente italiano in Bosnia, che era il generale Pedone, e cominciò questo lavoro di monitoraggio.

D. – Ed è in Bosnia che ha subito la contaminazione da uranio impoverito?

R. – L’idea che noi ci siamo fatti è che questa contaminazione lui l’abbia contratta nei Balcani: in Bosnia o in Kosovo. Nel 2000, lui andò in Kosovo da civile, per monitorare il patrimonio culturale distrutto del Paese e trovò vagonate di uranio impoverito. I bombardamenti della Nato hanno fatto delle cose veramente disastrose e vergognose.

D. – Che cosa si apprestava in particolare a tutelare in Kosovo?

R. – In realtà, Fabio monitorò la distruzione soprattutto, perché era già stato distrutto tutto quando arrivò nel 2000. I serbi si accanirono sui monumenti degli albanesi - le moschee – e gli albanesi fecero altrettanto con i beni culturali serbi, quindi soprattutto le chiese. Il monumento che è stato maggiormente colpito in Kosovo dalla furia devastatrice dell’Uck, perché lo fecero esplodere, è il Monastero della Santissima Trinità di Musutiste, cui Fabio dedicherà anche una parte rilevante del suo lavoro nel suo libro sul Kosovo.

D. – Perché è importante ricordare Fabio Maniscalco oggi?

R. – Quando si parla dei beni culturali, di beni culturali a rischio nelle aree di crisi - pensiamo soltanto a quello che è successo in Siria – i suoi insegnamenti sono stati assolutamente innovativi e assolutamente applicabili anche in questa contingenza. Io credo che di Fabio vada riportata soprattutto la sua grande umanità: è stato soprattutto un messaggero di pace. Lo dico veramente sempre. Noi abbiamo accuratamente evitato nel libro di parlare di lui come eroe. Noi volevamo parlare di un uomo, di un uomo come ce ne sono tanti, che hanno fatto delle cose egregie, bellissime e sono stati dimenticati. Fabio era un uomo meraviglioso, che ha veramente messo la passione per l’archeologia e quindi per l’umanità al centro della sua vita.

D. – Archeologia, umanità: questo binomio a volte viene forse sottovalutato. Si tende al bene culturale come a qualcosa di marginale rispetto ai grandi temi, alle grandi crisi, ai grandi conflitti. Eppure Fabio Maniscalco e altri come lui si spendono proprio per la conservazione del bene culturale che è memoria, memoria storica, quindi è patrimonio dell’umanità…

R. – Assolutamente sì. Attraverso la tutela del patrimonio culturale dell’umanità si dà avvio alla pacificazione dei popoli.

D. – La storia di Fabio Maniscalco fa pensare anche a Khaled al-Asaad, l’archeologo morto per difendere Palmira…

R. – Assolutamente sì. Io penso che Fabio, se fosse ancora vivo, sarebbe sicuramente andato in Siria. Era una persona estremamente pratica. Coniugava veramente la passione per l’archeologia, questo rigore di studioso, ad un intuito meraviglioso e ad un coraggio incredibile, proprio da investigatore. Ricordo anche che in Albania, quando andò appunto con la missione Alba nel ’97, lui si infiltrò nel mercato clandestino delle opere d’arte, rischiando molto.








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