2016-05-09 14:24:00

Pakistan: ucciso musulmano difensore dei diritti dei cristiani


Da musulmano, difendeva i diritti della minoranza cristiana e non solo. Era giornalista e attivista dei diritti umani nel suo Paese, il Pakistan, Khurram Zaki, ucciso sabato scorso a Karachi. L’uomo stava cenando in un ristorante quando, dall’esterno, uomini armati a bordo di motociclette gli hanno sparato. Zaki era il direttore del sito “Let us Build Pakistan - Lasciateci costruire il Pakistan”, che condanna il settarismo e promuove la democrazia e i valori progressisti. Esiste una foto che ritrae il giornalista con il crocifisso in una manifestazione pubblica in difesa dei diritti dei cristiani. A rivendicare il barbaro assassinio un gruppo che si è separato dai Talebani pakistani: Zaki sarebbe stato ucciso per la sua recente campagna contro un imam della Moschea Rossa di Islamabad, denunciato per incitamento all’odio e violenza contro la minoranza sciita. Giada Aquilino ha intervistato Qaiser Felix: la scorsa settimana ha portato al Papa, durante la veglia di preghiera per “asciugare le lacrime” in San Pietro, la propria testimonianza di giornalista cattolico pakistano perseguitato, costretto a rifugiarsi in Italia per mettere al sicuro se stesso e la propria famiglia dalle ritorsioni di alcuni gruppi terroristici. A lui abbiamo chiesto perché un altro attivista dei diritti umani sia stato ucciso in Pakistan:

R. – E’ una notizia molto triste, ma non è certo nuova: hanno già ucciso diverse persone. Chi alza la voce, loro vogliono ucciderlo, perché non credono nel dialogo. Loro pensano che solo ciò che dicono e fanno sia vero. Non c’è proprio spazio. Per questo sono dovuto scappare.

D. – Quando lei parla di “loro” chi intende?

R. – Gruppi terroristici che sono diventati - dal 1980 ad oggi -  molto, molto forti.

D. – Zaki era da sempre schierato in difesa della minoranza sciita in un Paese a maggioranza sunnita, ma difendeva anche i diritti della minoranza cristiana. Cosa significa un impegno del genere in Pakistan?

R. – E’ un lavoro molto duro, molto difficile, perché la maggioranza pensa che soltanto quello che dicono loro sia vero. Non si può alzare la voce, invece la gente vuole alzarla contro le discriminazioni, contro gli attacchi alle chiese, alle moschee e alle persone che non sono sunnite. E' sempre stato così.

D. – Ricordiamo la figura di Shahbaz Bhatti, il ministro cristiano per le minoranze, assassinato nel 2011. Lei a Papa Francesco ha raccontato la difficile vita alla quale sono costretti i cristiani in Pakistan, discriminati dalla legge contro la blasfemia, spesso vittime di violenze e anche di assassinii. Qual è stata la sua esperienza da giornalista cristiano in Pakistan?

R. – Volevo dar voce alle minoranze, perché non hanno voce. La maggior parte sono poveri, fanno lavori modesti e la stampa non racconta le loro storie. Quindi era un lavoro interessante e mi piaceva molto. Però purtroppo i gruppi terroristici sono diventati molto forti e anche il governo non riesce a bloccarli e a punirli. E’ davvero difficile: una lotta molto dura, forse anche molto lunga.

D. – Lei e la sua famiglia siete stati minacciati?

R. – Sì! E’ per questo che sono dovuto scappare. Sono stato minacciato con telefonate, lettere…

D. – Minacce di morte?

R. – Sì!

D. – Se fosse rimasto sarebbe stato ucciso?

R. – Come abbiamo visto adesso col caso dell’attivista Zaki, ma anche con Shahbaz Bhatti, con il governatore del Punjab, Salman Taseer, un musulmano che ha parlato contro la legge sulla blasfemia, dicendo che bisognava rivederla: lo hanno ucciso! Io ero un ‘pezzo piccolo’…

D. – All’improvviso lei si è trovato catapultato in un Paese straniero, lontano dalle persone più care - che poi, per fortuna, ha ritrovato in Italia - e anche impossibilitato a svolgere il mestiere di giornalista. Il suo impegno a favore delle minoranze come può continuare dall’Italia?

R. – Il primo ostacolo è la lingua italiana, che ancora sto imparando, perché per lavorare come giornalista e per scrivere bisogna impararla molto bene. In Pakistan lavoravo in inglese. Forse però da qui in futuro potrò fare qualcosa, mi piacerebbe se riuscissi a fare qualcosa.

D. – Cosa sogna per il suo Paese, ma anche per tutte le minoranze religiose o etniche nel mondo?

R. – Per me, la cosa importante è il rispetto verso tutti: tutti hanno la libertà di praticare la propria fede, la propria religione. La cosa importante è il dialogo. Quindi c’è speranza, sempre. Io sono un cattolico e ho sempre speranza. Però, alcune volte, è necessario fare un passo indietro – come ho fatto io – per aspettare un momento migliore.

D. – Giovedì scorso ha ricevuto un segno, una rassicurazione da Papa Francesco, quando gli ha portato la sua testimonianza?

R. – Sì! E’ la seconda volta che andavo con tutta la mia famiglia da Papa Francesco. E’ stato un momento importante per la nostra vita. Gli abbiamo chiesto di pregare non soltanto per noi, ma anche per i nostri fratelli cristiani in Pakistan. Sempre c’è speranza! Noi vogliamo fare tante cose, ma bisogna aspettare anche la risposta del Signore.








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