2016-05-01 10:00:00

Primo maggio: in troppi senza lavoro. Con noi l'economista Becchetti


Oggi, primo maggio, la Chiesa ricorda San Giuseppe lavoratore. E in tutto il mondo si celebra la festa dei lavoratori. Manifestazioni di piazza sono in programma in numerose città degli Stati Uniti, anche a sostegno dei diritti dei migranti. “Creare lavoro è un dovere costituzionale”, ha detto il presidente della Repubblica italiana Sergio Matterella, in occasione della cerimonia per i cavalieri del lavoro al Quirinale. A Genova, corteo nazionale di Cgil, Cisl e Uil. A Roma, tradizionale concerto in Piazza San Giovanni. Gli appuntamenti giungono in un momento in cui il rallentamento dell’economia ha generato un nuovo aumento della disoccupazione: nel 2015 colpiva 197 milioni di persone, quasi un milione in più rispetto al 2014 e 27 milioni in più rispetto al periodo prima della crisi. Ma cosa possono fare sindacati e aziende per rilanciare il lavoro?  Alessandro Guarasci ha sentito l’economista Leonardo Becchetti:

R. – Pensiamo che oggi un sindacato moderno, per difendere il lavoro, debba votare “con il portafoglio”, cioè debba esprimere la sua forza dicendo ai cittadini che devono consumare e premiare i prodotti delle aziende che tutelano il lavoro e danno al lavoro dignità. Credo che questo sia più importante piuttosto che una semplice manifestazione celebrativa. Ovviamente si tratta di un gesto simbolico, ma che ha anche una valenza politica, perché spinge poi le aziende a scegliere e a premiare la responsabilità sociale.

D. – Professore, appena gli sgravi sul lavoro hanno perso un po’ di efficacia, secondo l’ultima Legge di Stabilità, la ripresa dell’occupazione si è andata smorzando: allora che cosa manca all’Italia?

R. – Soprattutto la macroeconomia: basta vedere quello che è successo dal 2007 ad oggi. Gli Stati Uniti partivano da una crisi finanziaria con una disoccupazione dell’11-12 per cento e oggi sono al 4,9 per cento. E noi invece abbiamo fatto il percorso contrario; quindi lo sbaglio è stato la macroeconomia. Dopo la crisi bisognava fare una politica fiscale espansiva - il “Quantitative Easing” - quindi una politica monetaria espansiva subito e poi riprendere tutti i “titoli tossici” con un provvedimento. Questo in Europa non è stato fatto: il “Quantitative Easing” è arrivato solo sette anni dopo; la politica fiscale espansiva ancora non c’è stata. L’Europa e l’Italia pagano politiche macroeconomiche sbagliate.

D. – Secondo lei sono state riposte troppe speranze nel “Jobs Act”?

R. – Il “Jobs Act” io la chiamo una “ritirata strategica” necessaria - purtroppo necessaria - per competere con Paesi a basso costo del lavoro; ma se è una cosa che può aumentare anche l’occupazione negli impieghi a tempo indeterminato, questi sono resi meno sicuri e tutelati perché il datore di lavoro può licenziare quando vuole. Se ciò ha avuto un effetto importante per aumentare questo tipo di impieghi, sicuramente però non ha aumentato la qualità del lavoro e non può neanche avere un effetto così forte sul tasso di occupazione, visto che poi ci vuole una politica macroeconomica diversa.

D. – Il premier italiano Renzi ha annunciato degli interventi sulle Partite Iva: bisogna cominciare a lavorare anche sui lavoratori autonomi per rilanciare il Paese?

R. – Questa è una cosa importante e credo che il governo abbia fatto bene a dare un po’ più di garanzie e di tutele alle Partite Iva, perché rappresentano una parte fondamentale del nostro lavoro. C’è un tentativo da questo punto di vista: quello di dare un po’ più di garanzia, di sicurezza e di tutela del lavoro. Quindi l'intervento del governo secondo me va sostenuto e appoggiato. 








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