2016-04-23 15:50:00

Sud Sudan: attesa per il rientro a Juba di Machar


E’ ancora mistero sul rientro del leader dei ribelli Riek Machar in Sud Sudan, che sarebbe dovuto tornare a Juba il 18 aprile scorso. Ora è stato sbloccato anche l’ultimo ostacolo che rallentava il suo ingresso nella capitale, che potrebbe rappresentare una svolta nel processo di pace. Ad oggi però la situazione nella città, e tra la popolazione, rimane molto grave. Sono milioni le persone a rischio malattie, si tratta di una crisi umanitaria che si protrae dal 2013, anno di inizio della guerra civile che ha visto coinvolti il presidente Salva Kiir e l’opposizione di Machar. Valentina Onori ha raggiunto telefonicamente a Juba, padre Daniele Moschetti, superiore provinciale dei Comboniani del Sud Sudan:

R. – È molto stazionaria la situazione e anche molto confusa, perché voleva arrivare anche oggi, e invece sembra che il governo centrale qui di Juba abbia imposto un’altra condizione.

D. – Il ritorno di Machar a Juba è considerata una condizione determinante per porre fine a una guerra civile iniziata nel dicembre 2013. Le sue attese quali sono?

R. – Non si tratta soltanto di una crisi politica, ma qui il discorso è anche etnico. Quello che è successo nel dicembre 2013 era il "ritorno di una vendetta" di un migliaio di morti nel 1991 da parte di Riek Machar.

D. – Quali potrebbero essere quindi gli strumenti dell’Onu per avviare un processo di pacificazione?

R. – Il problema è se chi è da questa parte obbedisce a quello che viene imposto o richiesto, perché molto spesso invece viene snobbato, anzi criticato e a volte si fa anche una grande pressione per mandare via dei personaggi sgraditi al governo. Se non viene accettato da chi dovrebbe mettere in pratica, questi appelli vanno nel vuoto. Lunedì e martedì hanno bloccato tutto l’aeroporto; quindi moltissimi aiuti umanitari, le Ong, sono tutti bloccati: nessuno partiva per andare nelle varie zone perché si aspettava Riek Machar che poi ha fatto saltare tutto di nuovo. Vedremo lunedì, è una storia infinita…

D. – Qual è il clima a Juba?

R. – Per il momento non ci sono grossi scontri, però tutti aspettano che qualcosa succeda per l’arrivo di Riek Machar e si spera che succeda qualcosa di positivo. Questi due gruppi hanno dimostrato in questi due anni e mezzo di lavorare per sé stessi, per i loro clan, ma non per la gente, non per lo Stato, non per la comunità. E stiamo parlando di due persone che sono cristiane: uno, il presidente, che è cattolico e l’altro che è presbiteriano. Quindi, anche questo è un grande punto di domanda e una grande sfida anche per noi come preti, missionari, come Chiesa locale. Nel piccolo stiamo vivendo quello che potrebbe essere un nuovo Rwanda.

D. – Un futuro governo di transizione avrebbe comunque delle debolezze…

R. – Sì, entrerebbero poi tutte le forze, non soltanto questi due gruppi, ma anche gli altri due: i “former detainees”, cioè i politici che erano all’opposizione ma che non hanno fatto parte del gruppo di Riek Machar - sono stati in prigione e poi rilasciati all’estero - loro hanno un loro gruppo; e poi ci sono altri partiti più piccoli. Quindi tutti hanno già avuto un’assegnazione di un qualche ministero. Quindi dovrebbero rientrare quattro gruppi diversi. Abbiamo davvero un grande bisogno di pace, perché la Chiesa sta cercando di pensare alla gente, ma non abbiamo segni veramente concreti da parte del governo. Quello che stiamo sperando tutti è che finisca questa storia – di questa farsa – di “avanti e indietro, avanti e indietro”; “deve arrivare…non deve arrivare…”. Cioè lui deve venire comunque qua in Sud Sudan. Per cominciare a ripartire, è necessario che lui arrivi qui, e poi nel 2018 fare le elezioni sperando che il Paese sia in una situazione migliore e soprattutto che ci siano anche dei candidati credibili: questo è l’aspetto fondamentale.








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