2016-04-19 12:41:00

Attentato a Kabul: 28 vittime. Pangea: è l'Is ora a fare paura


Si risveglia la rappresaglia talebana in Afghanistan come annunciato lo scorso 12 aprile. L’offensiva di primavera ha provocato solo oggi a Kabul almeno 28 vittime e oltre 300 feriti in un attentato kamikaze contro un'agenzia responsabile della sicurezza. Fumo denso e polvere hanno avvolto decine di case, negozi e diversi edifici governativi, danneggiati dall'esplosione. Il Presidente Ashraf Ghani condanna l'attacco, affermando che dimostra la debolezza del nemico nella lotta contro il governo. ''Una situazione difficile, nonostante i progressi fatti a livello di diritti umani grazie a Organizzazioni come Pangea Onlus, presente in Afghanistan dal 2002. Sentiamo l’analisi del suo presidente e fondatore Luca Lo Presti al microfono di Gabriella Ceraso:

R. – Come in ogni attentato, la cosa veramente sconvolgente è che chi muore sono persone innocenti. In questo caso, donne, bambini e uomini che si recavano a lavoro.

D. – Sul territorio oggi c’è il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, e lui dice di frutti che si vedono in modo evidente, nonostante la sfida del terrorismo. Voi siete d’accordo?

R. – E’ vero che in questi anni molte cose sono cambiate. Detto questo, in alcune aree di Kabul, la paura è tanta. Non è tanto responsabilità talebana, perché i talebani non servono agli interessi internazionali della globalizzazione della guerra e del potere economico e di fatto, queste nuove rappresaglie di primavera, tragicamente classiche, si riducono a non moltissimi attentati, perché i talebani non ricevono più finanziamenti internazionali. In questo momento, infatti, i soldi per il terrorismo sono dirottati sull’Is, che comunque è presente in Afghanistan. Questo spaventa tantissimo le donne e spaventa tantissimo tutta la popolazione e non è mai stato fermato.

D. – E' minaccia a conquiste già attuate nel vivere civile, nella costruzione della pace?

R. – Assolutamente sì. L’Is ha conquistato delle parti di Paese e quando arriva questo tipo di ignoranza, legata ad una concettualizzazione religiosa inesistente peraltro, ecco che le donne sono le prime a farne le spese.

D. – Ad oggi, quali sono i passi avanti che sono stati fatti?

R. – I passi in avanti dovrebbero prevedere una politica internazionale di consapevolezza e ricostruzione. Non vedo mai in un’azione di politica estera da parte degli Stati una visione molto lungimirante rispetto ai diritti della popolazione; trovo solo degli interessi speculativi legati al fatto che le guerre hanno un costo e questo costo viene sostenuto da investitori, i quali devono avere un ritorno economico. Il ritorno non è mai quello della vita e del futuro delle persone. Per cui si riesce vagamente ad immaginare quelli che potrebbero essere i riscontri positivi per una popolazione civile, che non è in grado di ricostruirsi da sola. Un esempio su tutti: per questa guerra sono stati spesi più di 600 miliardi di dollari per costruire la democrazia. In realtà, a Kabul, che è la capitale, non ci sono le fogne, non ci sono le strade, le scuole stanno chiudendo, perché non ci sono i fondi per pagare gli insegnanti pubblici e gli investimenti per le scuole sono stati sottratti da mafiosi. Insomma, la società civile afghana non è stata aiutata a potersi avviare verso una ricostruzione autonoma di un Paese in pace. Per cui la speranza è che a qualcuno, oltre che a Pangea - perché a Pangea interessa tantissimo – possa interessare la vita delle persone, degli esseri umani e che, quindi, magari, si cerchi di modificare un’azione di guerra in un’azione di pace e di polizia internazionale, di monitoraggio affinché il Paese non ripiombi in una guerra civile.

D. – Anche a livello di monitoraggio, quindi, c’è carenza?

R. – Assolutamente sì, perché la sicurezza è stata lasciata quasi interamente all’esercito e alla polizia afghana, che sono male equipaggiati e assolutamente mal retribuiti, di ceto basso, che trovano lavoro ma non hanno interesse per una democrazia che non esiste; non hanno interesse a proteggere uno Stato che non esiste, a proteggere un futuro che non vedono. Hanno interesse ad avere quel minimo di salario che può essere sostituito da qualsiasi altro denaro, di chiunque li voglia assoldare. La sicurezza, quindi, non esiste. Anche in questo caso...come ci si spiega che migliaia e migliaia di afghani – perché di loro stiamo parlando – scappino da quel Paese e stiano arrivando anche in Italia, se gli abbiamo portato la pace?








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