2016-04-14 15:11:00

Papa a Lesbo, Msf: l'augurio è che risvegli le coscienze


Nel campo di accoglienza di Moria a Lesbo, che Papa Francesco visiterà sabato 16 aprile, fino allo scorso 20 marzo, erano presenti gli operatori di Medici Senza Frontiere che, dopo l’accordo tra Unione europea e Ankara, hanno deciso di chiudere le proprie attività all’interno dell’hotspot per non divenire, è stata la loro denuncia, complici di un sistema considerato iniquo e disumano. Francesca Sabatinelli ha intervistato Michele Telaro, capo progetto di Msf a Lesbo:

R. – Sicuramente la visita del Papa è assolutamente la benvenuta! Spero che Papa Francesco possa riuscire a risvegliare le coscienze dell’opinione pubblica e delle nostre autorità. Poi, onestamente, non mi aspetto che la visita del Papa possa far cambiare idea all’Unione europea, perché la volontà politica che è stata messa in gioco è molto forte ed è evidente. Il Papa ha chiesto “ponti e non barriere”, ma in questo momento, invece, l’Unione europea vuole proprio creare delle barriere e respingere queste persone, chiudere le proprie frontiere e, in qualche modo, vuole subappaltare l’assistenza umanitaria e la protezione internazionale ad altri, alla Turchia.

D. – All’indomani dell’accordo che è stato siglato tra Unione europea e Ankara, Medici Senza Frontiere ha deciso immediatamente di chiudere la sua attività nell’hotspot di Moria. Ancora oggi la situazione è questa? Cioè, voi ancora operate sull’isola di Lesbo, ma al di fuori di Moria?

R. – Sì, esattamente. Manteniamo l’attività al di fuori dell’hotspot di Moria, ma abbiamo interrotto tutto quello che facevamo all’interno. Stiamo costantemente monitorando la situazione, soprattutto quella sanitaria, all’interno di Moria per essere sicuri che non degeneri. Quello che è successo il 20 marzo è che Moria, che era una struttura di accoglienza, da un giorno all’altro si è trasformata in una struttura di detenzione, senza alcuna comunicazione ufficiale. Quindi, queste persone che fuggono dalla guerra, che hanno fatto dei viaggi difficili per arrivare fino a qua, che hanno rischiato la vita per attraversare il mare, che arrivano sulla spiaggia, bagnati, spesso infreddoliti, spesso malati o anche con problemi fisici e traumi, fino al giorno prima queste persone trovavano una struttura di accoglienza, dove i loro bisogni ricevevano una risposta, da un giorno all’altro si ritrovano in detenzione per colpe che evidentemente non hanno commesso. Ed è per questo motivo che abbiamo smesso di lavorare all’interno di Moria.

D. – Ma all’interno del campo di Moria la situazione umanitaria, le condizioni di vita di queste persone, come sono?

R. – Le condizioni sono assolutamente inaccettabili. Moria ha una capacità di accoglienza di un migliaio di persone, 900-1000 persone, e in questo momento, invece, all’interno del campo ce ne sono all’incirca 3 mila. Non ci sono servizi igienici sufficienti, le strutture, i ripari e i posti per dormire sono insufficienti, ci sono famiglie e bambini che dormono all’esterno, per terra, perché non ci sono abbastanza ripari per tutti. Il cibo non è sufficiente, l’esercito fornisce tre volte al giorno i pasti per 2.400 persone, mentre il resto, i pasti mancanti, viene fornito da una piccola organizzazione spagnola. C’è una confusione totale, le persone non hanno alcuna informazione, i servizi medici sono insufficienti, per non dire del sostegno psicologico e della presa in carico dei disturbi di salute mentale. Tutte queste funzioni dovrebbero essere chiaramente responsabilità delle autorità, ma l’Unione europea ha imposto, da un giorno all’altro, alla Grecia di trasformare questo posto in una struttura di detenzione senza essere in grado di fornire tutti i servizi. Non c’è alcun bisogno di tenere queste persone in detenzione, perché potrebbero benissimo essere trasferite in altre strutture, più adeguate, dove si potrebbe dare loro tutta l’assistenza di cui hanno bisogno.








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