2016-04-13 14:44:00

Il parroco di Lesbo: il Papa vicino ai migranti perché persone


Nessuno arriva a Lesbo solo per andarsene di casa. E' la testimonianza dei volontari del "Jesuit Refugee Sservice" (Jrs) che lavorano con i migranti in Grecia. Le loro voci raccontano di anziani, disabili, senza fare distinzione tra migranti economici e chi invece arriva per sfuggire alla guerra. Su Lesbo, dove il Papa si recherà sabato prossimo, Jrs e Caritas Internationalis oggi sono intervenuti denunciando la violazione dei diritti dei migranti che, a Lesbo, si trovano nel campo di Moria "ora un centro chiuso" – si legge in una nota della Caritas, da dove migranti e rifugiati "non sono autorizzati ad andarsene". "Visto il recente quanto controverso accordo Ue che prevede il respingimento in Turchia dei migranti che sbarcano sulle sponde della Grecia, la visita del Pontefice non potrebbe giungere in un momento migliore – interviene il Jrs – tenuto conto che detto accordo contravviene al dettato della legge internazionale, nonché viola il principio di non-respingimento delle persone bisognose di protezione". Francesca Sabatinelli ha intervistato padre Leone Kiskinis, unico parroco cattolico dell'isola di Lesbo, dove il Papa arriverà sabato 16 aprile:

R. –  E’ un viaggio di testimonianza a tutto il mondo che i migranti, prima di essere un numero da contare in un campo di accoglienza, sono delle persone, hanno una storia, hanno dei sogni, hanno un nome. Quindi, bisogna trattarli con dignità, da persone umane. Il Papa da sempre, da quando è salito al Soglio pontificio, ha dato questi segni di vicinanza a chi è emarginato, a chi è privo di dignità. Non possiamo dimenticare il suo primo viaggio a Lampedusa, proprio per essere vicino ai rifugiati che venivano dall’Africa. Lo stesso sta facendo anche adesso, qui a Lesbo.

D. – Il Papa arriva in un momento in cui l’Unione Europea sta sostenendo una dura battaglia all’interno di se stessa. Vediamo le prese di posizione delle ultime ore dell’Austria al confine con l’Italia, ma abbiamo visto i comportamenti di tanti Paesi, di chiusura nei confronti dei migranti. E lei pensa che questa visita del Papa riuscirà in qualche modo a dare un segnale?

R. – Credo di sì. Prima di tutto, non penso che la scelta di venire proprio qui a Lesbo e non in un’altra parte della Grecia – a Lesbo che è un’isola di approdo per queste persone che arrivano dalle coste turche – non penso che questa decisione sia casuale. Perché, nonostante la presenza delle autorità, delle istituzioni, delle organizzazioni non governative, la popolazione locale, le persone semplici hanno dimostrato una fratellanza, un’umanità mai vista finora da queste parti. La cittadinanza di Lesbo non ha chiuso le porte, non ha chiuso i cuori, non ha creato frontiere o barriere, ma ha accolto queste persone nella speranza che possano ricevere un calore e un’accoglienza in Europa – in questa Europa che è proprio la patria dei diritti umani. Quindi, secondo me, queste persone che arrivano dalle coste turche cercando un futuro migliore devono sperimentare questa accoglienza dell’Europa dei diritti umani.

D. – E’ molto importante, e questo si è ripetuto fin dall’inizio, la dimensione ecumenica di questo viaggio e la dimensione ecumenica di un appello umanitario…

R. – Esatto, sì. E credo che per risolvere questo problema della crisi migratoria non si debba lavorare da soli, ma bisogna collaborare, bisogna lavorare insieme, in comune. Non soltanto i governi delle nazioni europee, ma anche le Chiese – la Chiesa cattolica, la Chiesa ortodossa, il Patriarcato ecumenico, la Chiesa ortodossa di Grecia: collaborare e dare una testimonianza di unità nella crisi migratoria. Noi siamo qui come cristiani, senza fare distinzioni di razza, di cultura, di lingua, di religione, per dare un po’ di sollievo a queste persone e anche per sensibilizzare la comunità europea, i governi, che bisogna lavorare “insieme”, “in comune”, non separatamente, ognuno per conto suo. Non è costruendo frontiere e barriere che si possono fermare queste persone che scappano dalla guerra e non hanno una via alternativa se non quella di arrivare in Europa sperando in un futuro migliore. In questo senso, c’è un grande carattere ecumenico cristiano, in questo viaggio del Papa.

D. – Lei è l’unico parroco cattolico dell’isola di Lesbo e quindi lei è uno dei protagonisti di questo viaggio di Papa Francesco sulla sua isola. Qual è stata la sua reazione quando ha saputo dell’arrivo di Francesco?

R. – Sono rimasto proprio sorpreso, non ci credevo proprio, perché io sono un parroco e non ero pronto per una possibile visita del Papa. La Chiesa cattolica locale è vero che è una piccola comunità – e magari anche per questo sono l’unico parroco dell’isola, c’è solo una chiesa cattolica in quest’isola – è però una comunità composta da fedeli molto impegnati nell’accogliere queste persone, perché la nostra fede non è astratta, è concreta. Noi crediamo di vedere Gesù che era affamato, era nudo, era forestiero, nel volto di queste persone. A prescindere dalla loro origine, noi cerchiamo di vedere Cristo dando un bicchiere d’acqua o un vestito per coprirsi, noi vogliamo credere che lo facciamo a Gesù stesso. Quindi, in questo senso, l’arrivo del Papa, oltre alla questione ecumenica, oltre a sensibilizzare i governi europei, è anche una soddisfazione per questa piccola comunità che è proprio alla periferia della Chiesa. Papa Francesco è molto sensibile a questa condizione. Siamo in Europa, siamo anche vicini all’Italia, però in queste isole dove la comunità cattolica è proprio una piccola minoranza, ci sentiamo “coccolati”, se posso dire così, dalla presenza del Papa: significa dare il suo affetto, il suo apprezzamento a questa piccola comunità che si sforza non solo di vivere, ma anche di essere utile, parlando cristianamente a queste persone che vengono dalle coste turche. Anche perché fino a 3-4 anni fa non c’era la presenza fissa di un sacerdote cattolico sull’isola, quindi questi fedeli hanno saputo vivere praticamente da soli, senza una pastorale continua. Ed ecco che, negli ultimi quattro anni, il vescovo ha deciso di avere un parroco fisso in quest’isola e poi dopo quattro anni arriva il Pontefice... Quindi, ci sentiamo veramente “coccolati” anche se in periferia…

D. – Lei parlava della piccola comunità cattolica di Lesbo: io però vorrei allargare lo sguardo a tutta la comunità, agli isolani di Lesbo, e chiederle se è cambiato qualcosa nel loro rapporto con questa presenza dei migranti. Sappiamo che la situazione nel campo di Moria è cambiata. Da quando c’è stato l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia questa parte dell’isola è stata quasi militarizzata, i profughi sono diventati quasi prigionieri, che cosa sta accadendo?

R. – L’atteggiamento di fratellanza, di vicinanza non è cambiato. Però, alcuni mesi fa, c’era la gente che cercava di salvare queste persone che arrivano qui, sulle imbarcazioni, dalle coste turche, adesso lo fa Frontex, o la guardia costiera turca. Cioè, la gente si sente meno coinvolta, se posso usare quest’espressione, alla loro assistenza, non è che non assista, ma assiste di meno. Ma il rapporto tra gli abitanti dell’isola e i migranti non è cambiato, c’è sempre una solidarietà che però viene data in modo minore rispetto ad alcuni mesi fa. Perché adesso ci sono le navi di Frontex, della Nato, che accolgono queste persone e le portano poi al porto di Mitilene per essere poi distribuite al campo di Moria.








All the contents on this site are copyrighted ©.