2016-04-12 14:31:00

Unhcr: per i rifugiati non barriere ma accessi sicuri e legali


Ancora tensione per la costruzione avviata ieri da parte dell’Austria  di una barriera al confine italiano del Brennero. Forte malcontento da parte del Commissario per l'immigrazione, Dimitris Avramopoulos che al Parlamento europeo, ha commentato come la costruzione di barriere fra stati di Schengen, non sia la soluzione giusta. Ma per il presidente dell'Austria, Heinz Fischer, non è in corso nessuna costruzione di un muro. Intanto il secondo rapporto della Commissione Ue sui migranti afferma che i progressi fatti sulla crisi dei migranti sono "nel complesso insoddisfacenti". Marina Tomarro

"Credo nella costruzione di ponti, non di muri, serve una politica dell'immigrazione che non conduca a chiudere i confini interni mettendo a rischio Schengen, e questa politica va attuata". Questo il commento del commissario Avramopoulos al parlamento europeo sulla questione della barriera al Brennero. Insoddisfatta anche la Caritas di Bolzano di fronte a questo inasprimento. "Con i controlli previsti al Brennero - ha sottolineato il direttore, Paolo Valente - si trasferisce semplicemente il problema da un'altra parte. Sono confini tra Paesi poveri e Paesi ricchi, come a Lampedusa e a Lesbo". Sulla situazione dei rifugiati, ascoltiamo Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell'UNHCR, al microfono di Antonella Palermo:

R. – L’Europa, invece che proteggere, ha deciso di non accettare una soluzione per questa crisi che, tutto sommato, non è una crisi europea, è una crisi per i rifugiati. Un milione di persone, infatti, che possono essere arrivate l’anno scorso, su una popolazione di 550 milioni di abitanti, non può essere considerata una crisi. Le speranze sono quelle dei concreti aiuti umanitari che, purtroppo, ancora non arrivano. Dopo la Conferenza di Londra di febbraio, in cui sono stati promessi dodici miliardi e ne sono stati versati solo l’8%, le speranze sono i famosi canali legali, sicuri, gli accessi legali. Per cui, anche cose così semplici come le borse di studio per migliaia di studenti siriani che desiderano solo poter riprendere l’educazione interrotta ormai da sei anni, i permessi di lavoro, i ricongiungimenti familiari e poi i programmi di reinsediamento, ma anche di mastership privata... Sono tantissime le forme. Alcuni Stati stanno rispondendo, purtroppo, ancora non adeguatamente. In particolare, noi riteniamo che l’Europa potrebbe fare molto di più, considerando le risorse che ha.

E di fronte a questi fatti, diventa sempre più forte l’attesa per la prossima visita di Papa Francesco a Lesbo. Ancora Carlotta Sami:

R. – Un gesto di grande valore simbolico, che ci ha fatto tirare un grande sospiro di sollievo, sapendo che il Papa si recherà lì. E’ un gesto molto importante, di vicinanza. In questo momento, gesti come questo hanno un valore fondamentale, perché purtroppo la crisi è una crisi globale e quello che amareggia è vedere uno scarso impegno, anche morale, a livello europeo, nei confronti di questa crisi. Servono quindi degli impegni molto concreti, ma anche la capacità di trasmettere ai cittadini europei il senso dell’importanza di accogliere chi sta fuggendo da una guerra.

D. – Potrà, secondo lei, avere delle ricadute politiche nel breve termine?

R. – Noi lo speriamo molto e so che sull’isola sono molto contenti di questa visita. Speriamo che possa avere un impatto positivo nello scegliere come portare avanti la gestione degli arrivi di queste persone. E speriamo che possa avere un impatto nel convincere ad aprire più strade legali per queste persone, per poter arrivare in Europa e nel mondo in modo sicuro, senza dover rischiare la vita dei propri figli in mare.

E tra le decine di migliaia di persone costrette a fuggire dai loro Paesi in guerra ci sono anche storie di speranza. Come quella del giovane violinista, Alaa Arsheed, riuscito arrivato in Italia dalla Siria. Carlotta Sami racconta la sua storia:

R. – I rifugiati sono persone come noi e ci sono anche tanti artisti che vivono in esilio. E quando siamo andati in Libano e in Giordania abbiamo incontrato questo giovanissimo violinista, la cui famiglia è stata spezzata letteralmente dalla guerra. I genitori sono degli artisti e la loro galleria d’arte in Siria è stata distrutta. Grazie a un semplice tweet che abbiamo fatto dal Libano, e che è stato letto dalla Fondazione Fabbri in Italia, Alah ha potuto avere una piccola borsa di studio. E solo questo piccolo aiuto, che è durato pochi mesi – due o tre mesi – gli ha permesso, però, di arrivare in modo legale, sicuro, in aereo, in Italia. Ha fatto domanda di asilo in Italia e in pochissimi mesi – in cinque o sei mesi – ha finalmente ottenuto lo status. Ora è qui, sicuro, ma non è solo sicuro, sta anche sviluppando moltissimi progetti, ha delle grandi idee che dimostrano la sua generosità.








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