2016-04-08 12:12:00

Rom e sinti in Italia: piani di inclusione in grave ritardo


E’ un quadro non confortante quello che emerge dal Rapporto annuale sulla condizione di rom e sinti in Italia, presentato stamani in Senato dall’Associazione 21 luglio nel giorno in cui si celebra la Giornata internazionale dei rom. Nel dossier si sottolinea che, malgrado i ripetuti richiami di organismi internazionali e gli obiettivi fissati nella strategia nazionale di inclusione, l’Italia continua a seguire politiche di discriminazione finanziando la costruzione di nuovi campi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

La Strategia nazionale di inclusione delle comunità rom e sinti presenti in Italia prevede il superamento della “politica dei campi”. Ma nel 2015 si sono continuati a registrare piani, anche se in numero minore rispetto agli anni precedenti, mirati alla costruzione di nuovi insediamenti. Sono stati anche programmati interventi di manutenzione straordinaria nei campi esistenti. Questi interventi – si legge nel Rapporto – coinvolgono in Italia circa 1.780 persone per un impegno economico superiore a 14 milioni di euro.

Clima di intolleranza e di ostilità verso rom e sint
Uno dei principali ostacoli, per l’efficacia delle politiche inclusive, è costituito poi dal proliferare del clima di intolleranza e di ostilità verso rom e sinti, sempre più spesso bersaglio di stereotipi e di pregiudizi alimentati anche da rappresentanti politici e istituzionali. Il Rapporto offre anche un focus, in particolare, sulla situazione a Roma, dove circa 8 mila persone vivono in baraccopoli e in insediamenti formali e informali. Nel 2015, nella capitale, le autorità locali hanno fatto eseguire 80 sgomberi forzati facendo registrare un incremento del 135% di questi provvedimenti rispetto all’anno precedente. Tali azioni coercitive – si ricorda nel Rapporto – hanno coinvolto a Roma 1.470 persone per un costo complessivo di quasi 2 milioni di euro.

Ue: i rom “non devono essere lasciati in disparte”
In occasione dell’odierna Giornata internazionale, l’Unione Europea ricorda inoltre, in una nota, che i rom “non devono essere lasciati in disparte”: esclusione, disuguaglianza e discriminazione “sono in netto contrasto con i valori fondamentali dell’Unione”. La Comunità di Sant’Egidio chiede infine “una moratoria dell’argomento rom a fini politici”: l’utilizzo strumentale della questione rom fomenta “gli istinti peggiori della cittadinanza” mettendo a rischio l’equilibrio, spesso precario, della convivenza.

Sui principali dati del Rapporto si sofferma, al microfono di Amedeo Lomonaco, Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio, organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinti in Italia:

R. – Il Rapporto fotografa la realtà dei rom e dei sinti in Italia. E' una situazione stabile rispetto agli anni precedenti: sono circa 180 mila unità distribuite sul territorio nazionale, di cui un quinto vive la cosiddetta emergenza abitativa, all’interno di insediamenti formali e informali. Circa 35 mila sono i cittadini rom, che vivono in questi insediamenti, di cui 20 mila nei 145 insediamenti creati, progettati dalle istituzioni, e altri 15 mila, soprattutto in prevalenza rom romeni, negli insediamenti informali. Il Rapporto fotografa anche le politiche, nel corso del 2015, attuate nei confronti delle comunità rom e sinti, politiche sia locali sia nazionali. Il 2015, nel Rapporto, viene definito l’anno del congelamento, ovvero l’anno in cui si è fatto poco. Si poteva fare molto di più.

D. – Quali comunque le luci di questo Rapporto sulle condizioni dei rom in Italia?

R. – Abbiamo segnalato esempi virtuosi, anche se non si può parlare ancora di buona pratica. Una buona pratica è tale dopo un’analisi che copre un arco temporale da tre a sei anni. Noi abbiamo rimarcato, come nel 2015, alcune città – pensiamo ad Alghero, Messina,Torino e Padova – stiano andando in una direzione di superamento dei campi, attraverso dei tentativi non sempre pienamente riusciti, ma comunque basati su buone intenzioni. C’è poi da notare - anche questo è un segno di luce - come l’onda di crescita della costruzione di nuovi campi si sia arrestata e si stia andando verso un graduale superamento dei campi. Questo riguarda soprattutto la città di Roma. C’è proprio una infografica all’interno del Rapporto che descrive come, negli ultimi due o tre anni, ci sia una tendenza che va verso la chiusura dei campi, proprio perché piano piano sta maturando, anche negli amministratori, la consapevolezza che questi luoghi vadano superati.   

D. – Come il mondo della politica italiana, dei partiti italiani condiziona e influenza, in particolare, il possibile passaggio da ogni forma di discriminazione all’inclusione sociale?

R. – Quasi ogni giorno si registra una frase di incitamento all’odio e alla discriminazione, pronunciata in prevalenza da politici nel nostro Paese. Quindi il fenomeno mediatico che si pone contro i rom e sinti, in maniera molto discriminatoria e stereotipata, è ancora molto vivo e condiziona fortemente poi le politiche degli amministratori.

D. – Come superare gli stereotipi legati al mondo dei rom, questioni che vengono strumentalizzate per fini politici?

R. – Anzitutto, ricollocando tutta la questione rom non su un livello etnico, ma su un livello di problematica sociale. Non bisogna differenziare le politiche attuate verso i rom dalle altre politiche. Ci sono rom, quattro quinti, che vivono in condizioni “normali”, cioè ordinarie, e ci sono un quinto dei rom che vivono all’interno di insediamenti formali e informali. E’ errato, sbagliato e strumentale sovrapporre la condizione di questo quinto alla condizione di tutti quanti i rom e, quindi, identificare il rom come colui che vive necessariamente in una condizione di povertà, di miseria all’interno dei cosiddetti campi nomadi.

D. – La creazione di una cultura rom, con radici prettamente italiane, può favorire il processo di integrazione?

R. – Da una parte può aiutare, dall’altra parte è anche molto pericoloso. Da una parte ogni cultura va sostenuta, ogni minoranza va sostenuta. Dall’altra , però, è molto pericoloso farlo con determinate modalità. Esasperare troppo la questione culturale può essere pericoloso, proprio perché ricadiamo nella trappola della etnicità. Non dimentichiamo che i campi nomadi nascono nel momento in cui si è voluto sottolineare l’aspetto culturale delle persone, identificandole come nomadi. Quindi va mantenuto un sano equilibrio tra ciò che è il valore di una cultura, l’importanza di salvaguardarla, e l'attitudine invece ad esasperare questo aspetto attuando, poi, politiche differenziate.








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