2016-04-08 14:25:00

Mons. Gudziak: tutti gli ucraini grati al Papa per il suo aiuto


Papa Francesco parteciperà con una “consistente somma di denaro” alla colletta pro-Ucraina del 24 aprile, da lui stesso lanciata al Regina Caeli di domenica scorsa. A riferire della decisione del Papa è una nota di “Cor Unum” che precisa che il contributo del Pontefice andrà “a beneficio dei residenti nelle zone colpite e degli sfollati interni” del Paese europeo. “Cor Unum”, si precisa nel comunicato, “è incaricato di valutare ed approvare la gestione tecnica dei fondi, secondo progetti vagliati localmente da una apposita Commissione”. Inoltre, conclude la nota, “per la fine del mese di aprile è prevista una missione in Ucraina” del segretario di “Cor Unum”, mons. Giampietro Dal Toso. Mario Galgano ha raccolto un commento sulla colletta europea del vescovo ucraino greco-cattolico a Parigi, mons. Borys Gudziak, portavoce dei vescovi bizantini dell’Ucraina:

R. – Tutti gli ucraini sono molto riconoscenti al Santo Padre per questo gesto e questa intenzione, che hanno un valore e materiale e morale. Cinque milioni di cittadini ucraini sono toccati direttamente dalla guerra. Due milioni e 500 mila sono rifugiati – due milioni in Ucraina – e tutta la struttura economica-sociale è traumatizzata. L’infrastruttura industriale, per esempio, nel Donbass è distrutta: la perdita si misura in forse 50 miliardi di euro… Dunque, non c’è lavoro c’è una svalutazione della valuta ucraina per due terzi e questo vuol dire che per due anni tutto il Paese ha solo una terza parte del salario. C’è povertà: gli ucraini fino adesso hanno portato questa sfida con grande dignità, ma c’è una stanchezza e una esasperazione crescenti. C’è questa crisi umanitaria, ma la crisi è causata dalla guerra e la solidarietà materiale che aiuti i poveri diventa anche uno spunto per la pace. Certamente, per noi cristiani la preghiera cambia i cuori e la solidarietà spirituale di tutta l’Europa cattolica, alla quale ha fatto appello Papa Francesco, è molto importante in questo tempo di sfida grande.

D. – Qual è la situazione della sua Chiesa, soprattutto nel Donbass, ma anche nella Crimea annessa dalla Russia?

R. – In Crimea, tutte le confessioni oltre la Chiesa ortodossa del Patriarcato di Mosca sono in difficoltà. La maggioranza dei preti greco-cattolici sarebbero dovuti partire, alcuni sono stati arrestati, alcuni picchiati… Ci sono altri sacerdoti che vengono dall’Ucraina per qualche mese, ma senza la registrazione – che è stata cancellata – c’è il problema legale dell’esistenza della comunità e della presenza dei pastori… Anche le comunità latine hanno diversi problemi. La comunità particolarmente perseguitata è quella dei musulmani, che sono gli abitanti originali della Crimea. I capi della comunità tartara sono stati espulsi, non possono entrare in Crimea. I media, la comunicazione, sono stati proibiti, la tv chiusa… Anche la comunità ortodossa del Patriarca di Kiev subisce tante repressioni e confische. Nel Donbass, c’è grande paura: tanti di questi cosiddetti separatisti sono ex prigionieri che avevano una vita criminale, ci sono “gang” che hanno lottato tra di loro e che cercano di sfruttare la gente… Mancano le medicine, l’insulina per i malati di diabete, non ci sono gli strumenti necessari per operare… Anche le scuole non funzionano in maniera normale. Le università, alcune, sono chiuse, altre sono trasferite in altre parti dell’Ucraina… Dunque, c’è una profondissima dislocazione sociale.

D. – Cosa possono fare, concretamente, gli europei per l’Ucraina, oltre alla colletta del 24 aprile per l’Ucraina?

R. – E’ molto importante essere informati. Adesso, il problema principale è fermare l’armamento di questi separatisti. Se ci fosse, in Europa, una coscienza chiara e piena della situazione, i governi farebbero una pressione che potrebbe portare alla pace. Tanti pensano che la guerra in Ucraina sia finita, che non ci sia la guerra, che tutto sia stato pacificato. Invece, quasi ogni giorno qualcuno è ucciso e la sofferenza continua.








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