2016-04-07 13:55:00

Primarie Usa: dopo voto in Wisconsin, corsa aperta tra Repubblicani


Si riaccendono le primarie per la candidatura alla presidenza americana con il voto in Wisconsin, di martedì scorso, che ha visto la vittoria di Bernie Sanders in campo democratico e Ted Cruz in quello repubblicano. Nonostante le recenti sconfitte, Donald Trump e Hillary Clinton restano saldamente in testa per numero di delegati e nei sondaggi sulle prossime sfide elettorali. Tuttavia la partita per le nomination non è ancora chiusa. Marco Guerra ne ha parlato con Alia Nardini, docente di Relazioni internazionali alla Spring Hill di Bologna:

R. – Questa mattina, molte fonti - dai social media alla stampa – titolavano: “La corsa si è finalmente riaperta”. In realtà i sondaggi avevano predetto il risultato del Wisconsin, sia con la vittoria di Ted Cruz che con quella di Bernie Sanders: per cui, avevamo buone ragioni per predire questo risultato nei termini in cui si è manifestato. Quindi, un inciampo e per di più un inciampo anticipabile e anticipato.

D. – Quindi Cruz è stato rilanciato veramente? Ha qualche chance di tenere testa a Trump?

R. – In realtà sì, perché Cruz ha accumulato 36 delegati con il voto del Wisconsin rispetto ai 6 vinti da Trump: quindi a livello di delegati questi numeri del Wisconsin aiutano Cruz a rimanere competitivo. Il conteggio aggregato vede Trump, sempre al comando, con 743 delegati; Cruz lo segue con 517: sono più di 200 delegati di differenza, ma sicuramente è un margine che se Trump avesse vinto in Wisconsin si sarebbe allargato. Quindi Cruz sta rimanendo competitivo e tamponando i danni - nell’ottica del Partito Repubblicano – che la candidatura di Trump sta portando.

D. – Quindi c’è una strategia di contenimento di Trump da parte del Partito Repubblicano?

R. – Assolutamente! Ed è una strategia che si sviluppa su più fronti. C’è un fronte cattolico-religioso, che sta evidenziando - ricordiamoci l’azione di Ethics and Public Policy Center, guidato da George Weigel - e sta ricordando all’elettorato statunitense che Trump non incarna quelli che sono o dovrebbero essere i veri valori dei repubblicani. C’è poi una parte, che è quella dei neo-conservatori, che aveva sostenuto George W. Bush, che ricorda all’elettorato – sempre repubblicano – come Trump, a loro parare, sia incapace di gestire la politica estera: quindi è una critica, invece, che guarda al ruolo dell’America nel mondo. C’è poi una critica primariamente economica che, appunto, contesta le idee economiche di Trump. Quindi, è una strategia che il Partito Repubblicano sta portando avanti su più piani e gli elettori sembrano rispondere: chiaro, poi dopo c’è una parte dell’elettorato che invece non gradisce questa ingerenza del partito e prediligerebbe uno svolgersi più autonomo delle primarie repubblicane.

D. – Quindi cosa dobbiamo prevedere negli Stati in cui si deve ancora votare?

R – Lo scenario, nell’immediato, vede tre appuntamenti importanti. Il primo è quello del 19 aprile, dello Stato di New York, in cui ci sono 95 delegati in palio. Poi abbiamo il voto del 26 aprile: importante perché ci sarà una pluralità di Stati che votano: dal Connecticut a Delaware, alla Pennsylvania, al Maryland, a Rhode Island. E, infine, il premio – chiamiamolo così – più ambito del 7 giugno, in cui votano la California, il Montana, il New Jersey, il New Messico, il North Dakota e il South Dakota: un appuntamento per i Repubblicani che in gergo si chiama “winner take call”: quindi colui che si piazza primo, prende tutti i delegati in palio. I delegati della California sono 172: quindi ci sono le possibilità che Trump si assicuri la nomination repubblicana, raggiungendo la soglia dei 1237 delegati, numeri che non permetterebbero al partito di contestare la sua candidatura in una "brokered convention".

D. – Per concludere: sul fronte democratico, cosa bisogna segnalare e cosa significa la vittoria di Sanders in Winsconsin?

R. – Sul fronte democratico, c’è stata questa vittoria – anche qui prevista dai sondaggi – di Sanders su Hillary Clinton. Lo scenario, tuttavia, nel Partito Democratico non cambia radicalmente. Un dato importante è sicuramente che Hillary Clinton non è mai scesa sotto il 40 per cento delle preferenze. La strada di Hillary Clinton sicuramente non è conclusa e ci sono degli intoppi: la campagna della Clinton sta descrivendo, appunto, Sanders come un intoppo, chiedendo al senatore del Vermont di ritirarsi; mentre invece in molti - soprattutto i giovani e l’elettorato bianco - preme perché continui la sua gara nella speranza di vincere. Sanders si dichiara ancora molto possibilista riguardo alle sue possibilità di ottenere la nomination.








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