2016-04-06 15:48:00

Armando Rigobello: la vita e il pensiero come testimonianza


Si sono tenute nel primo pomeriggio nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina, a Roma, le esequie del filosofo Armando Rigobello, originario della provincia di Rovigo, morto ieri all'età di 92 anni. Tra i massimi rappresentanti italiani del personalismo di ispirazione cristiana, ha insegnato filosofia morale all’Università di Perugia e poi a Roma, negli atenei de "La Sapienza", di Tor Vergata e alla Lumsa, di cui è stato anche il primo rettore. Rigobello ha intrattenuto rapporti con quasi tutti i più grandi pensatori del Novecento e ha avuto una nutrita schiera di allievi, divenuti poi affermati studiosi. Tra questi, Paolo Nepi, docente di Filosofia morale all'Università Roma Tre e alla Lumsa. Adriana Masotti ha chiesto a lui un ricordo personale del filosofo scomparso:

R. – Io ero studente a Perugia con il professor Rigobello e di lui apprezzavamo molto la sua capacità di far dialogare le varie correnti filosofiche: non era un pensatore rigido su un autore o su una corrente… E poi, soprattutto, era una persona molto disponibile con gli studenti – non aveva famiglia – e la sua famiglia era un po’ la famiglia degli studenti dell’Università, con cui magari usciva insieme anche a pranzo… Era veramente una persona anche umanamente molto significativa per noi. Io non so, ma sono venuto e ho trovato in treno degli amici dei tempi dell’Università che hanno sentito proprio, non so neanche il dovere, ma in un certo senso il piacere di dare l’ultimo saluto a un uomo al quale abbiamo veramente voluto bene, sentendo di essere ricambiati in questo.

D. – Armando Rigobello è considerato uno dei maggiori rappresentanti in Italia del “personalismo” di ispirazione cristiana. Al centro, dunque, della sua ricerca si colloca il concetto di persona…

R. – Sì, lui è stato, in Italia, l’interprete di un vasto filone del pensiero filosofico del Novecento – cioè il “personalismo” – che in un primo momento ha difeso la persona rispetto alle degenerazioni politiche anche dei regimi totalitari. Infatti, il “personalismo” è nato nel contesto degli anni Trenta. Ma oggi, in tempi di democrazia, qual è il suo significato? Nella democrazia, il “personalismo” comunque va riproposto perché la democrazia rischia l’appiattimento: rischia un modo di vita “consumistico”, una concezione tecnocratica. Cioè, all’ideologia politica si può sostituire una ideologia, per così dire, utilitaristica, individualistica... Mentre il “personalismo” rivendica la persona in tutto lo spessore, anche, delle sue relazioni con gli altri.

D. – Ecco, questo è molto attuale, come molto attuale è anche il discorso del rapporto tra fede e scienza, che Rigobello ha approfondito…

R. – Sì, certo, per lui la fede non è una forma – come dire – “integrale” di conoscenza, perché certamente la fede dà gli orientamenti di fondo, le verità essenziali, indica la meta finale, ma non indica tutti i tratti del percorso. I tratti del percorso possono – anzi, devono essere – trovati dagli esseri umani anche attraverso l’impegno della ragione. La fede e la ragione sono due strumenti essenziali: la ragione senza la fede cade nel razionalismo presuntuoso e assurdo, la fede senza la ragione cade nel fideismo fanatico, nel fideismo dogmatico e quindi anche nell’intransigenza. Quindi, la scienza è intesa come questo apporto che la ragione umana deve dare a una fede e, come la fede dà un apporto alla ragione per individuare le traiettorie di fondo della sua ricerca, però anche la fede non può fare a meno della ragione che è un dono che Dio ha fatto agli uomini perché lo possano utilizzare veramente.

D. – Rigobello lascia un’idea fondamentale, che è anche un messaggio: quello della vita come testimonianza, della ricerca dome testimonianza. Che cosa significa?

R. – Questo è un tema, sì, che lui ha sempre trattato. Come dire: anche la filosofia non è un discorso puramente speculativo. Si richiamava, questo, a una definizione di Platone, cioè “la vita teoretica”. La vita teoretica è spesa per il pensiero, ma questo pensiero dev’essere capace di generare rapporti umani, relazioni, amicizie… Quindi, in un certo senso, è una testimonianza. Quindi, non è un pensiero isolato, un pensiero aristocratico, ma un pensiero – come dicono i francesi – “engagé”, cioè impegnato nella vita. E anche questo è uno dei frutti, mi sembra, della stagione del “personalismo”, di Mounier, di Maritain, che sono stati pensatori che però hanno saputo, con il loro pensiero, incidere nella storia, nella vita politica, nella vita pubblica.








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