2016-04-05 13:36:00

Risarcimento record dalla Bp per disastro nel Golfo Messico


20 miliardi di dollari di risarcimento a carico della compagnia Bp: è uno dei punti chiave della sentenza che chiude anni di controversie legali per il disastro ambientale più grave della storia americana: la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico nel 2010, dalla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della British Petroleum. 11 operai morti e cinque Stati Usa danneggiati dalla marea nera, che per tre mesi ha continuato a riversarsi nelle acque e lungo le coste del Golfo. La causa contro Bp è considerata il “processo ambientalista del secolo". Fausta Speranza ha intervistato l’esperto di ambiente Antonio Cianciullo, direttore di “Materia rinnovabile”, magazine di economia circolare:

R. – E’ difficile avere soddisfazione di fronte ad un danno ambientale come quello creato dal disastro della Deepwater Horizon, con un incendio che ha causato la morte di 11 operai. Sono danni, quindi, che non possono essere monetizzabili. Detto questo siamo di fronte alla sentenza, dal punto di vista economico, più dura della storia nel campo dei disastri ambientali: 20 miliardi di dollari cui si dovranno poi sommare altri costi per il risarcimento di privati. Perché questi fondi andranno a risarcire solo i cinque Stati americani colpiti dalla marea nera. Nel complesso il suo esborso arriverà a 53 miliardi di dollari. Questa è una cifra che occorre tenere presente, perché quando si parla di petrolio, di investimenti a rischio in zone pericolose, bisogna sapere che a fronte di questo pericolo c’è un danno ambientale che, anche solo economicamente, ha questa misura.

D. – Ovviamente bisognerebbe prevenire ed evitare questi disastri. Ma questa sentenza, in qualche modo, può contribuire ad un percorso normativo all’altezza della situazione?

R. – Per decenni i disastri ambientali hanno avuto risarcimenti nulli o quasi. Questa sentenza è importante. Penso al disastro di Bhopal, risarcito con un pugno di lenticchie per le vittime. Penso, in Italia, alla tragedia della Eternit, con la coraggiosa sentenza di primo grado che per la prima volta ha colpito i vertici di un’azienda colpevole di un disastro che seminerà ancora migliaia di morti all’anno: si calcolano duemila morti all’anno ancora per decenni. Ebbene, la decorrenza dei termini, quindi questo limite di tipo legislativo, ha impedito alla sentenza di avere effetto reale. Per fortuna, per quanto riguarda l’Italia, l’anno scorso è passata la legge sui reati ambientali che ha modificato la decorrenza dei termini. L’ha resa più lunga e ha delineato quattro nuovi delitti ambientali: l’inquinamento ambientale; il trasporto e abbandono di materiale radioattivo; l’impedimento al controllo e il disastro ambientale. Devo dire che con questa legge in Italia ora siamo un pochino più tutelati.

D. - E, in generale, cosa dire ancora quando parliamo di ambiente e di tutela?

R. – Ci sono una serie di attività ad alto rischio che vanno messe in discussione, non solo per gli effetti drammatici evidenti nel momento di un’esplosione o di un disastro, ma anche per gli effetti di una routine. Penso, ad esempio, alla questione del nucleare con i due drammatici episodi che tutti conosciamo - Chernobyl e Fukushima - con anche, però, il problema che si sta manifestando proprio in queste ultime settimane del trasporto e della conservazione dei materiali radioattivi, che possono anche essere oggetto di attacchi terroristici e che ancora non hanno trovato una forma di smaltimento sicuro. L’altra questione è quella del petrolio. Il Mediterraneo è un mare che per lo stillicidio delle perdite delle operazioni di routine ha il più alto tasso di catrame sui fondali del mondo: 38 milligrammi per metro quadro a fronte di 10 milligrammi del Mar dei Sargassi, che è il secondo classificato in questa triste classifica. Quindi ci sono delle attività che vanno valutate in maniera certamente etica, ma anche economica. Se, infatti, i danni che producono venissero conteggiati realmente, queste attività andrebbero fuori mercato. Oggi appaiono convenienti perché una quota del rischio e una quota dei danni finisce nell’oscurità, cioè viene pagata dai privati che non utilizzano quei beni. Questa è un’ingiustizia anche economica.








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