2016-03-29 12:43:00

Is perde terreno in Siria e Iraq. A Palmira sminatori russi


Un primo gruppo di sminatori russi è partito per la Siria, dove si occuperà di bonificare la zona di Palmira ripresa, dopo circa un anno, ai jihadisti del sedicente Stato Islamico. Alla soddisfazione della comunità internazionale per la liberazione dello storico sito archeologico patrimonio dell’Unesco, si contrappongono oggi le immagini di violenza dei soldati fedeli al regime siriano di Bashar al-Assad che hanno decapitato i miliziani dell’Is. Massimiliano Menichetti ha raccolto il commento di Pietro Batacchi direttore di Rivista Italiana Difesa:

R. – La decapitazione rientra in parte nella tradizione della cultura militare islamica; ma c’è anche la questione della vendetta: questa è una forma evidente di ritorsione, occhio per occhio, dente per dente …

D. – La riconquista di Palmira modifica la posizione del Presidente siriano Assad che, fino a poco tempo fa, era visto tutto in uscita?

R. – Direi di sì, è un dato di fatto: Assad in questi mesi ha recuperato terreno, ha chiuso i ribelli ad Aleppo, ha riconquistato una parte di terreno che aveva perduto, ha messo in sicurezza la roccaforte alawita sulla parte costiera della Siria … Questa è la realtà, con questo bisogna fare i conti. Dall’altra parte, bisogna dialogare anche con una parte dei ribelli siriani che in qualche misura si richiamano alla fratellanza musulmana, fratellanza musulmana con cui – non dimentichiamolo – l’amministrazione Obama ha buon uffici, a non da oggi.

D. – In Siria e in Iraq, qual è la situazione attuale dello Stato Islamico?

R. – Ha perso il 22% del territorio, ma se guardiamo al solo Iraq addirittura il 40%. Ha perso città importanti, in Iraq, come Ramadi, prima aveva perso Tikrit, in Siria adesso ha perso la città di Palmira … Questo però non vuol dire che lo Stato Islamico sia un nemico sconfitto: tutt’altro, perché è un’organizzazione straordinariamente flessibile e adattabile alle circostanze sul terreno ed è un’organizzazione che ancora ha una sua forza. Certamente  molto indebolita anche perché sia i raid russi sia quelli americani hanno interdetto gran parte del contrabbando di petrolio che era una delle fonti – se non la principale fonte – di finanziamento dello Stato Islamico.

D. – Alcuni sostengono che sia gli attentati in Africa, sia gli attentati in Europa – come quelli di novembre a Parigi o gli ultimi a Bruxelles – siano una fiammata perché lo Stato Islamico si indebolisce …

R. – In parte, questa lettura ha un suo fondamento di verità, in parte bisogna sottolineare un aspetto: che questi attentati, soprattutto quelli sul teatro europeo, dimostrano la forza e il consolidamento, la profondità delle filiere terroristiche che lo Stato Islamico in questi anni ha creato in Europa. Gli attentati come quelli di Parigi, quelli di Bruxelles, gli attentati che comunque sono stati sventati in questi mesi dimostrano l’ampiezza di una struttura che probabilmente le forze di sicurezza e i servizi di intelligence europei non si aspettavano.

D. – Come si deve rispondere a questa minaccia?

R. – Soprattutto con l’intelligence: bisogna capire come fare questa intelligence …

D. – Che vuol dire?

R. – Vuol dire che soprattutto alcune agenzie di intelligence europee devono riscoprire prima di tutto l’ “Humint” (Human Intelligence), l’intelligence umana, cioè devono tornare a infiltrare le organizzazioni terroristiche perché queste organizzazioni terroristiche si conoscono se le si infiltrano dall’interno.

D. – Perché, adesso si sta facendo prevalentemente analisi di dati e intercettazioni?

R. – Purtroppo sì. Purtroppo, da anni è invalso anche in alcune agenzie di intelligence europea la prassi, già in vigore negli Stati Uniti, di dare precedenza all’intelligence cosiddetta elettronica. Ma questo, a mio avviso, è un errore fondamentale quando si ha a che fare con organizzazioni come quelle responsabili degli attentati di Parigi e di Bruxelles.








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