2016-03-29 10:00:00

Bruxelles: paura tra i musulmani, ma anche voglia di dialogo


La cronaca che arriva da Bruxelles e la scoperta ogni giorno di un tassello nuovo di una violenza inaudita legata al mondo dell’estremismo islamico sta diffondendo paura e sgomento anche nella comunità musulmana che vive nella capitale belga. In mezzo a essa c’è Noufissa Bouchrif, direttrice di un coro misto di cristiani e musulmani e fondatrice dell’Associazione “La Luce del cuore”, impegnata sul fronte del dialogo interreligioso secondo la spiritualità del Movimento dei Focolari. Gabriella Ceraso ha raccolto la sua testimonianza:

R. – 99,99%, je sais pas combien, vraiment se dissoudraient de ce qui se passe à Bruxelles…
Il 99,99% delle persone si dissociano da quello che è successo a Bruxelles, è incredibile... Ci tocca profondamente, fin nel cuore delle nostre famiglie, dei nostri bambini. Non è facile comprendere quello che è successo. La gente che ha compiuto quegli attentati non ha nulla a che fare con l’islam: bisognerà pur dirlo. I musulmani in generale, però, non devono pensare di doversi giustificare, anche se c’è molta gente che sostiene che dovrebbero farlo. Invece i musulmani non hanno nulla a che vedere con queste persone: quelli sono dei barbari… Sa, c’è un versetto nel Corano che dice che quando hai ucciso una persona è come se avessi ucciso tutta l’umanità. Ecco, questo rispecchia un po’ i nostri sentimenti per quello che sta succedendo oggi a Bruxelles.

D. – Il fatto che siano tutti giovani musulmani dietro agli attentati di Bruxelles, che peraltro vivono nella città, ha aumentato nei confronti della comunità musulmana diffidenza e paura?

R. – Oui. Il y a maintenant beaucoup de méfiance, il y a beaucoup de peur. Ça se voit dans les métros…
Sì. Adesso c’è molta diffidenza, molta paura e questo si vede nella metropolitana, per strada, nelle scuole… Adesso, siamo anche noi musulmani stessi ad avere paura per i nostri figli. Io ho tre figli adolescenti, una femmina e due maschi: veramente, abbiamo un po’ di remore a uscire di casa…

D. – Pensate di fare qualcosa nell’ambito stesso della comunità musulmana locale per far fronte a questa situazione, per rispondere a tutto ciò?

R. – Oui, bien sûr. Nous, en effet, maintenant on a des contacts avec beaucoup des professeurs…
Sicuramente. Abbiamo preso contatto con molti professori, con le scuole soprattutto, perché vogliamo entrare in contatto con i giovani. Quindi, facciamo dei corsi di sensibilizzazione con l’aiuto dei professori di religione e anche con professori di altre discipline, per far capire soprattutto ai giovani, ma anche agli altri, che questa situazione è veramente fuori dalla norma in Belgio, per far comprendere loro che l’Islam in quanto religione non ha nulla a che vedere con quello che sta accadendo. La prova è che avevo un’amica che è morta nell’attentato nella metro: ora siamo vicini alla sua famiglia, era mamma di tre bambini, era maestra di ginnastica, era musulmana… Quindi, come vedete, tutti sono coinvolti. Noi siamo feriti, fino nell’ambito dei nostri amici, delle nostre famiglie…

D. – E’ vero che a Bruxelles ci sono interi quartieri chiusi alla polizia in cui c’è una maggiore concentrazione di criminalità, di estremismo? E se è così, che cosa si può fare dal punto di vista sociale, dal punto di vista umano?

R. – Ce qu’on peut vraiment travailler c’est qu’il faut sensibiliser les familles, les milieux associatifs…
Ciò su cui veramente si può lavorare è sensibilizzare le famiglie e gli ambiti associativi, perché sono queste persone che riescono a influenzare le famiglie, i giovani. Ci sono due zone, in città: in una ci sono solo musulmani e nell’altra ci sono solo belgi. E’ vero: le persone oggi hanno paura di passare da un quartiere all’altro

D. – Lei dirige un coro di musulmani e cristiani, ha organizzato anche parecchi concerti anche dopo i fatti di Parigi. Ora pensa che sarà più difficile lavorare su eventi simili?

R. – C’est vrai, maintenant, après ce qui s’est passé il y a eu des désistements…
E’ vero: adesso, dopo quello che è successo, c'è un atteggiamento di rinuncia. Alcune delle persone che lavoravano assieme a noi hanno fatto marcia indietro. Ma la cosa che più conta riguarda i luoghi, una chiesa per esempio, in cui dovevamo organizzarci, il parroco mi ha detto: “Per quanto mi riguarda, la chiesa resta aperta”.

D. – E dunque, è possibile a oggi credere nel dialogo, nella solidarietà, nella fratellanza tra musulmani e cristiani in ogni ambito della società?

R. – Oui. Oui: ça c’est inévitable, ça il faut y penser, il faut y croir. Tant qu’on peut vivre…
Sì, sì, è inevitabile, bisogna pensarci, bisogna crederci. Fintanto che si può vivere, fintanto che c’è vita in noi, fintanto che abbiamo l’amore di Dio in noi, possiamo essere sicuri che c’è sempre speranza. C’è sempre speranza: bisogna sensibilizzare, bisogna andare avanti. Dobbiamo continuare, ciò che sta accaendo non può fermarci. Il dialogo interreligioso è per me uno scopo di vita.








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