2016-03-27 10:00:00

L'Africa celebra la Pasqua tra progressi, sfide e contraddizioni


In Africa, continente dalle grandi potenzialità, sfide e contraddizioni, vivere la Pasqua vuol dire sperare in una società rispettosa della dignità umana, delle pace e della riconciliazione. Tante le attese e le aspirazioni degli africani, spesso afflitti da povertà, guerre e terrorismo. Ma "non mancano i segni evidenti della Resurrezione" spiega padre Giulio Albanese, direttore delle riviste delle Pontificie Opere Missionarie. Paolo Ondarza lo ha intervistato:

R. – Stiamo parlando di un continente che ha infinite potenzialità, da un punto di vista sociale, politico ed economico; ma direi che è soprattutto rilevante il dato antropologico: nel continente africano vi sono oltre 800 popoli che, in una maniera o nell’altra, rappresentano una straordinaria risorsa. Certamente vi è un evidente bisogno di partecipazione dal punto di vista della democrazia. Ma non solo: vi è bisogno, anzitutto e soprattutto, di affermare il primato della persona umana su tutto il resto.

D. – Che cosa vuol dire celebrare la Pasqua in quei contesti segnati dalla violenza del terrorismo: pensiamo, in particolare, alla Nigeria, al Mali, alla Costa d’Avorio, al Burkina Faso; luoghi in cui – per citare il titolo del suo ultimo libro – "Vittime e carnefici nel nome di Dio" non mancano, sono la quotidianità…

R. – Significa capire, comprendere col cuore e con la mente, che la vita umana è sempre sacra agli occhi di Dio e dovrebbe esserlo anche agli occhi degli uomini! Purtroppo questo è un fenomeno che coinvolge chiaramente in primis le minoranze religiose, ma ha anche a che fare – ed è inutile nasconderselo - con quote consistenti della società civile, per esempio appartenenti al mondo islamico. E’ il caso della Somalia, ma anche della Nigeria, dove queste organizzazioni criminali, raggruppate sotto il cartello di Boko Haram, colpiscono chiunque si opponga al loro delirio. Per poter voltare pagine è necessario innanzitutto e soprattutto che vengano smascherate le complicità legate al business delle armi, agli interessi economici. Quindi la sfida è certamente politica, ha una valenza sociale ed economica, ma è anche culturale.

D. – Pasqua vuol dire Resurrezione e va rilevato che non mancano segnali di rinascita: pensiamo alla Repubblica Centrafricana, Paese visitato di recente da Papa Francesco. Qui il Santo Padre ha aperto il Giubileo della Misericordia che stiamo vivendo…

R. – La visita di Papa Francesco ha davvero sortito un vero e proprio miracolo: da quel momento si è inaugurata una nuova stagione. Certamente vi sono situazioni ancora di conflittualità nel Paese, soprattutto in alcune zone periferiche, in cui continuano ad esserci gruppi armati che saccheggiano i villaggi; però è anche vero che la visita di Papa Francesco ha fatto sì che si tornasse a dialogare, soprattutto anche nell’ambito di un cammino interreligioso. In questo Paese sono state anche celebrate le elezioni: il cammino è ancora lungo, ma i segnali di speranza per un cambiamento ci sono tutti quanti.

D. – Elezioni che si sono svolte recentemente anche in vari altri Paesi africani: possono essere viste, in qualche modo, come segnali di speranza?

R. – La Domenica delle Palme si è votato effettivamente in diversi Paesi e non solo per consultazioni politiche, ma anche referendarie, come nel caso del Senegal. Ora è chiaro che da una parte è evidente che le vecchie oligarchie fanno fatica a farsi da parte, però è anche vero che vi sono segnali di partecipazione senza precedenti. Dunque il cammino è lungo, però vi sono dei cambiamenti che fanno ben sperare, guardando al futuro.

D. – Spostiamo l’attenzione ad un altro contesto, quello europeo, che proprio in questi giorni vive la paura e l’acuirsi di un clima di tensione dovuto agli attentati di Bruxelles. Come vede quando sta accadendo?

R. – Il fenomeno del terrorismo rappresenta – per così dire – la mannaia del terzo millennio e a pagare il prezzo più alto è la povera gente. Questo significa anzitutto capire che non siamo di fronte ad una guerra di religione, ma siamo di fronte ad una strumentalizzazione della religione per fini eversivi da parte di organizzazioni criminali. Purtroppo vi sono dei mandanti: organizzazioni, anche statuali, che - in una maniera o in un’altra - foraggiano il terrorismo. E’ lì che la Comunità internazionale deve intervenire! Può essere sconfitto se vi è collaborazione nel consesso delle Nazioni, nella consapevolezza che siamo di fronte ad una guerra a pezzettini – per usare il gergo di Papa Francesco – e questo esige maggiore coerenza – per esempio – nei controlli per quanto riguarda soprattutto i flussi di denaro, che oggi sono tracciabilissimi. Per non parlare poi degli approvvigionamenti di armi e munizioni che rispondono, ancora una volta – ed è tristo dirlo - al diktat dell’interesse economico.








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