2016-03-25 13:19:00

20 anni fa il massacro dei trappisti di Thibirine: il ricordo dell'abate Eamon


“Se mi capitasse un giorno di essere vittima del terrorismo … vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e all’Algeria”. E’ il testamento spirituale di padre Christian de Chergé, uno dei sette monaci trappisti assassinati 20 anni fa dai fondamentalisti islamici del Gia. I sette monaci furono sequestrati nel loro monastero a Thibirine nella notte tra il 26 e il 27 marzo del 1996 e successivamente barbaramente uccisi. Sulla loro testimonianza ed eredità spirituale, Alessandro Gisotti ha intervistato l’abate generale dei trappisti, dom  Eamon Fitzgerald:

R. – Penso che la cosa più importante di questa vicenda sia la testimonianza comune. Questi fratelli venivano da diversi monasteri: le vocazioni sono venute da alcuni monasteri della Francia. Questi monaci hanno dunque dovuto imparare a vivere insieme. La cosa più importante della loro esperienza, per loro, è stata l’incursione, nel Natale 1993, dei ribelli. Attraverso questo episodio – gli uomini armati poi sono andati via, ma l’esperienza di paura e la consapevolezza del rischio della morte ha sollevato in loro un senso di “essere insieme” davanti a questo pericolo. Così, nei tre anni seguenti hanno costruito una comunità fondata su una stessa volontà, su uno stesso desiderio di restare e di testimoniare Dio.

D. – I monaci di Thibirine hanno deciso di restare in Algeria – come ha detto lei – ben conoscendo i rischi, i pericoli che correvano: un po’ ricordano le Missionarie della Carità, uccise nello Yemen …

R. – La cosa che mi colpisce di più è che si tratta di persone normali, ma persone normali dedite a Dio e alla loro missione di essere testimoni del Vangelo. Questo mi colpisce molto e leggendo anche la storia dei Martiri dell’Algeria vedo questo sempre di più. Loro hanno un senso di Dio, un senso della vocazione che li spinge a dare tutto. Infatti, questo giorno mi colpisce – il Venerdì Santo – perché è il giorno in cui Dio ha dato se stesso per noi attraverso la morte sulla Croce. Penso che questa esperienza di essere amati da Dio sia alla radice della testimonianza dei martiri.

D. – Molti, soprattutto dopo gli attentati terroristici in Europa, parlano sempre più di scontro di civiltà. I monaci di Tibhirine hanno invece dato una testimonianza di incontro, di voler costruire ponti, fino alla fine …

R.- Sì. Io ho trovato qualche tempo fa uno scritto di padre Christian, che era il priore della comunità, in cui lui diceva: “I cinque pilastri della pace sono la pazienza, la povertà, la presenza, la preghiera e il perdono”. Allora, questo mi ha colpito molto: non è una cosa straordinaria, ma è una cosa di tutti i giorni, che possiamo vivere – ciascuno di noi – nella nostra situazione personale.








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