2016-03-24 15:02:00

Giornata per i Missionari martiri: oltre mille dal 1980


“Donne e uomini di misericordia”, il motto della Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri, istituita nell’anniversario dell’uccisione, il 24 marzo 1980, di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador. Il pensiero corre agli ultimi martiri di quest’anno, il padre assunzionista Vincent Machozi, ucciso domenica scorsa in Congo, e alle quattro suore di Madre Teresa con altre 12 persone, massacrate nello Yemen, il 4 marzo nel loro convento di Aden, dove i loro assassini jihadisti hanno rapito padre Tom Uzhunnalil, sacerdote indiano salesiano. Roberta Gisotti ha intervistato don Francesco Cereda, vicario del rettore maggiore dei Salesiani:

D. – Don Cereda, quali notizie dallo Yemen?

R. – Tutto tace. Non abbiamo nessuna comunicazione né con padre Tom né con le altre Missionarie della Carità presenti e nemmeno con un altro salesiano che si trova in Yemen. Tutti i canali sono o attraverso le nunziature o attraverso le ambasciate, tenuti da diversi soggetti, tra cui in particolare – per l’aspetto ecclesiale – dal nostro Ispettore. Quindi, siamo nell’attesa fiduciosa, perché non perdiamo mai la speranza e soprattutto attraverso la preghiera chiediamo a Dio il dono della restituzione di questo nostro confratello. E certamente continuiamo a pregare e ad essere vicini alle suore di Madre Teresa e al padre assunzionista Vincent: questi sono già stati ‘tolti di mezzo’ con la loro uccisione, ma le loro Congregazioni soffrono e temono anche per altre situazioni che hanno di precarietà e di difficoltà in alcuni di questi Paesi.

D. – C’è quindi grande preoccupazione. Padre Tom, quale lavoro pastorale svolgeva?

R. – Prima, come salesiani, avevamo una presenza di cinque sacerdoti; tre sono rientrati dopo insistenze anche da parte civile dei governi, per le difficoltà crescenti, e due hanno voluto restare per essere anche affianco alle suore di Madre Teresa. C’era la possibilità, prima, di svolgere il ministero anche in alcune chiese cattoliche, e poi tutto si è concentrato nei conventi delle Suore della carità, facendo sempre opera per i cattolici, per il ministero propriamente pastorale e di vicinanza nella carità a tutti coloro che ne hanno bisogno, e soprattutto agli ammalati, agli anziani e ai poveri.

D. – Nel 2015 sono stati 22 gli operatori pastorali uccisi nel mondo e se guardiamo indietro, dal 1980 allo scorso anno, sono state 1.084 le vittime - sacerdoti, religiosi, suore e laici - solo i casi accertati e di cui si è avuta notizia. Davvero un sacrificio di sangue che impressiona …

R. – Questa Giornata fa bene a tenere desta l’attenzione al martirio, che comunque è una testimonianza di autenticità della vita cristiana e quindi è un incoraggiamento, uno stimolo per tutti noi ad essere coraggiosi e nello stesso tempo prudenti nella testimonianza della fede, a non mettere troppo a repentaglio la vita anche quando sappiamo che la vita cristiana esige – pur senza andare a cercare il martirio – di poter essere disponibili a questo, proprio per l’autenticità della fede. Ma quali sono le ragioni di questa emarginazione, del martirio dei cristiani? Qualche volta anche del silenzio di fronte a questi fatti, specialmente il silenzio, spesso dovuto a motivi di convenienza, di paura di fronte a ritorsioni da parte di coloro che provocano violenze. E allora questa Giornata diventa anche una giornata di preghiera per la pace, perché si risolvano i conflitti che sono sempre alla radice di violenze, anche delle forme estreme di violenza, quali lo sono quelle del fanatismo.

D. – A volte il silenzio è anche dei nostri media: ad esempio, delle quattro suore di Madre Teresa, pochi hanno parlato …

R. – Qualche volta potremmo interpretare questo silenzio come indifferenza - Papa Francesco ha sottolineato questo aspetto - e qualche volta anche come paura di ritorsioni. Ma se noi ci lasciamo ricattare dalla paura, allora siamo disposti a subire qualunque tipo di ricatto e di violenza. Certamente, un modo di superare la paura è di essere aperti nel condurre avanti quotidianamente la nostra vita nell’ordinario, e nello stesso tempo promuovere azioni di sicurezza, di garanzia. Ma anche, non essere chiusi di fronte all’accoglienza delle diversità, in questo caso degli immigrati, perché questi potrebbero essere un rischio per il futuro: ma noi sappiamo che il rischio non viene da questa parte.








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