2016-03-24 08:00:00

Entusiasmo e attesa nel "Cara" di Roma per la visita del Papa


Quattro nigeriani cattolici, tre donne eritree copte, tre musulmani di diverse nazionalità, un indiano indù, un’operatrice italiana: saranno loro oggi a ricevere il gesto della Lavanda dei piedi nella Messa in Coena Domini del Giovedì Santo, presieduta da Papa Francesco. Sono stati scelti tra i quasi 900 ospiti, la maggioranza dei quali musulmani, del Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Castelnuovo di Porto, uno dei più grandi in Italia, a pochi chilometri da Roma. Quali le reazioni degli ospiti alla notizia dell’arrivo tra loro del Papa? Adriana Masotti lo ha chiesto a Angelo Chiorazzo, fondatore di "Auxilium", la Cooperativa che dall’aprile 2014 gestisce la struttura:

R. – Per gli ospiti, ovviamente, è stata una gioia immensa. C’è stata una grande incredulità all’inizio: quando ieri abbiamo annunciato la notizia pensavano a uno scherzo. Poi, quando hanno realizzato che era una cosa vera, abbiamo vissuto momenti indescrivibili di grande gioia, con alcuni ragazzi in lacrime. Per non parlare dei 12 scelti per la lavanda, che erano frastornati dalla gioia. Uno dei ragazzi, un maliano, musulmano, mi ha detto: “Mi sento davvero più importante di Obama! Che il Papa, l’uomo più importante del mondo, l’uomo migliore al mondo, lavi i miei piedi!”. Veramente momenti di grande emozione.

D. – Lui è un musulmano, ma tanti altri nel centro sono musulmani. Non c’è problema da parte loro nell’accogliere il Papa?

R. – No, ne sono felicissimi, anche perché loro hanno una particolare devozione per Papa Francesco, lo sentono vicinissimo e l'hanno espressa in tante manifestazioni che abbiamo fatto al Centro e non solo. Per esempio, il 17 gennaio, durante il Giubileo dei migranti, erano oltre 200 i ragazzi musulmani che sono venuti con noi all’Angelus e che poi hanno attraversato la Porta Santa e partecipato alla Santa Messa con grande emozione. Sono musulmani anche i ragazzi pakistani che hanno fatto quella bellissima bandiera che raccoglie tutte le bandiere delle nazioni presenti al centro, dove hanno voluto scrivere all’interno: “Grazie Papa Francesco”.

D. – Ci può presentare un po’ il "Cara" di Castelnuovo di Porto?

R. – Nel "Cara", a oggi, siamo arrivati a 892 persone, di cui 554 musulmani, 239 cristiani, tra cui tantissimi copti, 2 ragazzi indù e 98 pentecostali. In quanto provenienze, ci sono 281 ragazzi provenienti dall’Eritrea, 135 dal Mali, 78 dal Senegal, 92 dalla Nigeria e poi a scendere, per un totale di 26 nazioni diverse.

D. – Come si vive nel Centro? Com’è la loro vita? Che cosa si aspettano?

R. – Loro scappano tutti da storie abbastanza pesanti. Fra l’altro, vengono da viaggi che nelle migliori delle ipotesi sono stati di un anno, tra mille difficoltà. Molti hanno conosciuto le carceri libiche. Hanno tutti la speranza di un futuro migliore, cercano questo.

D. – In generale, quanto si fermano e qual è la loro destinazione?

R. – Qui si apre un vero problema, perché ora, con la relocation, chi viene dalla Siria, dall’Eritrea e dall’Iraq in tempi ragionevoli viene ricollocato in altri Paesi europei, perché inizi il proprio percorso di vita. Per quanto riguarda le altre nazioni, il tempo medio, da quando c’è il prefetto Gabrielli che ha istituito due nuove commissioni territoriali per valutare la domanda di asilo, è di circa sei mesi. Il problema è che molti di questi ottengono il diniego e la legge prevede che in questo caso possano fare un ricorso al tribunale ordinario. Qui si apre un grande problema, però, perché i tempi dei tribunali ordinari sappiamo quali sono e quindi arrivano anche fino a due anni. Pensi che l’85% dei ragazzi del Centro di Roma alla fine ottiene un permesso almeno umanitario. Quindi, qui si apre un vero problema che, forse, richiederebbe maggiore attenzione da parte del legislatore, perché si infligge loro di fatto un’inutile pena di due anni di attesa per l’inizio di un percorso di vita.

D. – Quindi, non potendo, immagino, uscire per il lavoro, la vita si svolge…

R. – No, no, possono uscire e hanno un solo obbligo: rientrare entro la mezzanotte. All’interno del "Cara" si fanno mille attività: dai corsi di italiano ai corsi di teatro ai corsi di fotografia. Si cerca di impegnarli. Lo sforzo ulteriore deve essere quello di cercare di trovare per loro la forma di un inserimento lavorativo.

D. – Tutto quello che lei ci ha descritto è un’eccezione, oppure i "Cara" in Italia funzionano così?

R. – Guardi, veramente non so dirle se sia un’eccezione. Io sono veramente orgoglioso del lavoro che 114 ragazzi fanno nel "Cara" di Roma, 114 persone, di cui il 50% è laureato. Fanno davvero un lavoro straordinario. Credo che se questo Centro è diventato una eccellenza riconosciuta anche dalle Commissioni estere che arrivano è proprio grazie al lavoro straordinario che queste persone fanno quotidianamente.








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