2016-03-22 17:28:00

Prof. Banfi: la riforma delle BCC è un percorso che va fatto


Il governo ha posto la fiducia alla Camera sul decreto banche: ad annunciare la decisione il ministro delle Riforme, Boschi. Le dichiarazioni di voto inizieranno domani alle 10,15 e i lavori proseguiranno ad oltranza fino al voto finale. Il decreto contiene anche la riforma delle Banche di credito cooperativo, ritenuta fondamentale per il consolidamento del sistema bancario, che prevede un processo di integrazione tra gli Istituti. Per il presidente di Federcasse, Alessandro Azzi, però la fragilità delle BCC si sta riducendo e la riforma non ha carattere emergenziale. Adriana Masotti ha chiesto l’opinione di Alberto Banfi, docente alla Facoltà di Scienze bancarie e finanziarie dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

R. – Io terrei distinti i due aspetti. Da un lato sicuramente è necessario un irrobustimento del nostro sistema bancario. Evidentemente, le Banche di Credito Cooperativo sono sicuramente un’esperienza importantissima, fondamentale, però anche loro devono adeguarsi a quanto sta avvenendo nella ricerca di dimensioni sempre più rilevanti, ma soprattutto di una maggiore sicurezza dal punto di vista patrimoniale. Questa è la logica di un’aggregazione delle banche, via via verso l’alto, che avviene in tutto il mondo. Il fatto di dire poi che il nostro sistema delle Bcc non è più così tanto fragile come lo era 15-20 anni fa, questo può essere vero, ma secondo me non significa che non sia necessario percorrere questa strada. La questione non è emergenziale, ma sicuramente è un percorso che deve essere fatto.

D. – La presenza di banche di piccole e medie dimensioni, tipica del sistema bancario italiano, non è più dunque sostenibile, ed è diventata motivo di rischio, mentre in passato era un elemento virtuoso, ad esempio, per il collegamento con il territorio…

R. – Bisogna capirsi su cosa vuol dire essere “vicini al territorio”, e se la dimensione molto, molto piccola è quella che ci permette di essere più vicini al territorio. È evidente che abbiamo un livello di piccole e medie imprese, che si sposano abbastanza bene con il livello di banche piccole e medio-piccole. Tuttavia, la vicinanza al territorio può essere raggiunta anche non essendo per forza piccoli; ma soprattutto, come dimostra questa riforma, si può restare “piccoli”, ma all’interno di una struttura che consenta di avere dei servizi o delle attività centrali che garantiscono maggiore solidità. Penso che questo sia un valore aggiunto; pensiamo all’esempio di Rabobank in Olanda o alle Banche di Credito Cooperativo in Francia: in questi casi abbiamo sempre delle banche relativamente piccole e vicine al territorio, ma con una forza centrale, perché l’attività internazionale comunque pesa.

D. – Il decreto in discussione prevede una via di uscita: la cosiddetta “way out”, con penalità per le banche che non accetteranno l’aggregazione. E su questo ci sono tante opinioni, tante polemiche…

R. – Sì, direi che questo è un punto cruciale. Il decreto afferma sostanzialmente che è opportuno che le Bcc possano aderire a questa capogruppo, che potrebbe forse derivare dalla “newco” generata dall’Iccrea, Centro Generale Casse Rurali o quant’altro. E quindi in questo modo le banche vanno ad aggregarsi. Ci sono delle Bcc che pensano di essere sufficientemente solide, e lo sono, per poter vivere autonomamente: allora il decreto può consentire a queste ultime di restare autonome. Ma il fatto di restare autonome comporta però il dover dimostrare di essere sufficientemente solide e quindi il fatto di decidere di rimanere fuori dal progetto, impone a queste singole banche di essere veramente forti e capaci di farlo. Poi si può discutere sul fatto se la penalizzazione sia più o meno elevata, se si debba avere un patrimonio di un certo tipo. È evidente che la strada è fatta in modo tale da evitare queste “way out”, anche perché poi a questi soggetti non è consentito di trasformarsi in “banche Spa”, ma restano sempre nel mondo del Credito cooperativo, quindi in un mondo completamente diverso.

D. – Il presidente di Federcasse parla di “autoriforma” delle Bcc, che potrebbe essere accolta. Che cosa significa?

R. – Questa autoriforma è un tentativo non di contrastare, ma di prevedere un’altra via di uscita, e non è molto diversa da quanto viene indicato adesso nel decreto. Io non dò un giudizio di valore sull’autoriforma, anche se sono convinto che le autoriforme difficilmente portano a dei risultati positivi, perché spesso si cerca di salvaguardare certe rendite di posizione. Sono sempre dell’idea che un settore, qualunque esso sia, difficilmente riesce ad autoriformarsi: può aiutare una riforma, ma non è lui che detta le regole per il futuro.

D. – Guardando invece al decreto, questa riforma che cosa garantirà? Quali le conseguenze sui cittadini?

R. – Non so quali conseguenze ci saranno. Certo è che, da questo momento, tutti sappiamo che le banche in teoria possono fallire. Quindi i cittadini dovranno prestare molta, molta attenzione alla banca e alle persone con cui si hanno dei rapporti. Sono convinto che quanto più una banca è di grandi dimensioni, probabilmente tanto più ciò garantisce un po’ di più rispetto ad una banca di piccole dimensioni. Se mi metto dalla parte delle singole Bcc, si può dire: “Ma questa è un’intromissione. Io voglio continuare per conto mio”. Però molte Bcc che hanno avuto problemi in questi tempi, li hanno avuti proprio perché gli amministratori hanno fatto gli interessi propri e non quelli dei cittadini.








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