2016-03-06 09:00:00

In Sud Sudan l'impegno di Medici con l’Africa Cuamm


Rimane critica la situazione sanitaria in Sud Sudan: la presenza di 14 mila sfollati in precarie condizioni igieniche nelle località di Lozoh e Witto ha portato a un aumento del numero di casi di malaria e dissenteria. Un funzionario dell’Onu ha parlato di 50 mila morti e 2,2 milioni di rifugiati e sfollati dall’inizio della guerra civile. Maria Laura Serpico ha intervistato don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa Cuamm, Ong che porta assistenza sanitaria agli sfollati di queste aree:

R. – La situazione sanitaria è aggravata dal fatto che il Paese non abbia ancora trovato una stabilizzazione. Quando dico “grave” intendo dire che il Sud Sudan si ritrova a non avere alcun ginecologo e una sola ostetrica per 20 mila mamme che partoriscono…

D. – Cosa fate, nel concreto, per migliorare la situazione sanitaria in queste aree nel breve periodo?

R. – Abbiamo un team di 4-5 persone che sono concentrate attualmente in quattro ospedali – quello di Yirol, quello Cuibet, quello di Lui e quello di Maper – per dare risposte sia in termini di prevenzione, sia in termini di assistenza e cura: in particolare per i parti della mamme, perché c’è un’altissima mortalità materna; e per i neonati e i bambini, perché c’è un’altissima mortalità infantile.

D. – Chi sono i cosiddetti “gunshot” ossia gli “sparati”?

R. – Quando un Paese come il Sud Sudan, specie nella parte Nord, si ritrova ad avere kalashnikov, fucili di vari tipo in mano a ragazzi di 13-14 anni – e li ho visti con i miei occhi – è inevitabile che chi fa assistenza sanitaria si ritrovi ad avere anche questi “sparati”. Ti sparano perché hanno bevuto la birra e ti vogliono rubare la motoretta; ti sparano perché non hai dato loro una mancia; ti sparano per qualsiasi situazione, come sta capitando…

D. – In cosa consistono le campagne di cliniche mobili?

R. – Quando c’è un alto livello di insicurezza, com’è quello attuale attorno all’ospedale di Lui – faccio un esempio – dove hai 14 mila sfollati, è ovvio che i presidi normali del sistema sanitario saltano completamente: la gente lascia la casa, si concentra in una certa aerea che considera più sicura e vive là. Allora sono necessarie queste cliniche mobili, cliniche cioè che partono dall’ospedale e vanno fuori, che vanno direttamente nelle aree in cui questi sfollati si sono raccolti. Attraverso queste cliniche mobili riesci a continuare – seppur con tanta fatica – tutto il sistema di vaccinazione, perché se lo salti vuol dire che fra due anni o tre anni risalta fuori la poliomielite o altre malattie… Facendo in questo modo, invece, riesci a raggiungere direttamente le persone, dando loro quell’assistenza sanitaria che altrimenti non saresti in grado di dare.

D. – Come si può intervenire sulla questione a livello internazionale?

R. – A livello internazionale io credo che vada posta l’attenzione in ogni tavolo e in ogni modo, perché non c’è dubbio che il Sud Sudan adesso abbia bisogno di tanto aiuto a livello diplomatico, che è però solo un livello: lì le diplomazie devono fare la voce pesante, devono condizionare gli aiuti ad una pace che deve essere trovata. E poi l’altro livello - se uno è quello diplomatico e istituzionale - è quello degli aiuti per la povera gente, perché non c’è dubbio che mentre i grandi Salva Kiir e Machar, i generali di turno e chi ha il potere in mano combattono, discutono e fanno la guerra, quella che invece soffre e rischia di essere abbandonata è la povera gente… Quindi un invito alla Comunità internazionale di avere a cuore queste popolazioni, perché sono quelle che stanno davvero, davvero soffrendo, soffrendo tanto e sono piene di paure.








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