2016-03-05 12:35:00

Tante incognite su ostaggi e missione italiana in Libia


Un eventuale intervento militare in Libia potrebbe avvenire solo su richiesta di un governo libico legittimato e con l’ok del Parlamento italiano. Così questa mattina il premier Renzi secondo il quale rientreranno in patria ad ore i due ostaggi liberati Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. Tante le incognite sul loro sequestro e sulla morte dei compagni Fausto Piano e Salvatore Failla le cui salme oggi a Tripoli saranno sottoposte ad autopsia. Paolo Ondarza:

Ancora fitta la nebbia sulla liberazione dei due tecnici italiani in Libia. Un blitz – racconta il capo del Consiglio militare di Sabrata – ha consentito il rilascio di Gino Pollicardo e Filippo Calcagno. L’operazione avrebbe provocato la morte di nove persone, tra cui due donne kamikaze. "Stiamo discretamente bene, ma psicologicamente devastati. Abbiamo bisogno di tornare urgentemente a casa”, fanno sapere i due. In un videomessaggio il loro volto appare provato, ma la barba incolta non nasconde sentimenti contrastanti: il sollievo di chi è fuggito da un incubo e l’angoscia per chi non ce l’ha fatta: la morte dei due colleghi, Fausto Piano e Salvatore Failla, sequestrati con loro a Mellitah nel luglio scorso in Libia, resta avvolta nel buio: forse giustiziati o usati come scudi umani. Oggi i loro corpi a Tripoli saranno sottoposti ad autopsia, poi il rientro in patria. Le tante incognite sul sequestro riflettono il caos della situazione libica. “lavorare per il successo del nuovo governo in Libia” è l’unica priorità per l’Italia fanno sapere fonti di Palazzo Chigi. Sull’ipotesi di  un eventuale intervento militare Roma invita alla prudenza, alla responsabilità e dice “no” ad accelerazioni giornalistiche.

Sull’efficacia e sulla natura di una eventuale missione italiana in Libia, Paolo Ondarza ha intervistato il generale Leonardo Tricarico, già capo di stato maggiore dell’Aeronautica militare:

R. – Oggi mi sentirei di sconsigliare qualsiasi tipo di intervento organizzato secondo le forme classiche dell’impiego dello strumento militare perché è semplicemente impossibile. Oggi noi non sapremmo che coordinate dare ai nostri aeroplani, missili o droni perché semplicemente non ci sono obiettivi conosciuti. La situazione sul terreno è molto fluida, molto mutevole e molto sfuggente; avremmo solamente la certezza di combinare dei grossi pasticci. Se invece per “intervento” volessimo definire la protezione di qualche interesse specifico con piccoli nuclei di forza speciali, con l’intervento di qualche drone, per esempio per proteggere un interesse italiano, per fare attività di sorveglianza, allora in quel caso lo si potrebbe fare, ma non bisogna andare oltre questi obiettivi puntiformi, molto peculiari e molto pragmatici.

D. - Dunque l’intervento che forse si va delineando potrebbe avere molto probabilmente una natura economica, di interesse economico commerciale da parte dell’Italia?

R. - È evidente che in Libia ci sono degli interessi di natura economica commerciale importanti; uno su tutti l’Eni. Quindi forse, proteggere quello che c’è o le prospettive che si possono aprire, è un movente necessario e sufficiente non per un intervento militare su larga scala, ma per una protezione specifica di questi interessi. Guardi per esempio la diga di Mosul in Iraq: quello è un tipo di attività che potrebbe essere compatibile, ossia una ditta italiana – la Trevi – che sta facendo una grande opera di manutenzione su una diga il cui crollo farebbe morire un milione e mezzo di persone.

D. - Però lei dice: “una missione a guida italiana anti-Is in Libia in questo momento non porterebbe dei risultati, anzi aggraverebbe la situazione” …

R. - Intanto questa guida italiana non ho capito cosa significhi, a cosa si riferisca e se chi deve essere guidato è stato informato. Credo di no: leggevo stamattina una dichiarazione del presidente francese Hollande che diceva: “Dobbiamo agire in coordinamento con l’Italia”. Il coordinamento è una cosa, “guida” implica invece una gerarchia, di altro tipo, e già vedo che i francesi potrebbero cominciare a “tirare calci”. Quindi anche questo va tutto ridimensionato e chiarito, cosa che non è stata mai fatta.

D. - Quindi la condizione dovrebbe essere un mandato internazionale ben delineato e poi anche una richiesta da parte delle istituzioni libiche che in questo momento mancano…

R. - Ci vuole un governo nel pieno dei suoi poteri; un governo legittimo - che non si sa se ci sarà o non ci sarà nel prossimo futuro - che debba chiedere l’aiuto a Paesi, vedremo quali, per stabilizzare una situazione tuttora precaria. Su questa base l’Onu dovrebbe formulare una risoluzione con il suo Consiglio di sicurezza e chiarire i termini dell’intervento e su quella base poi edificare una missione.

D. - Secondo lei quale eventuale legame potrebbe esserci tra un intervento italiano in Libia e i risvolti legati alla sicurezza nazionale, all’emergenza terrorismo?

R. - C’è una connessione diretta di cui è stata data ampia prova anche di recente per cui un ruolo più attivo nel combattere il terrorismo comporta dei rischi domestici; lo abbiamo visto con la Russia, con la Turchia. Però direi che in Italia si può essere più confidenti che non succedano catastrofi come quelle che abbiamo visto, perché c’è sicuramente una rete di protezione più adeguata costituita dalla nostra organizzazione per combattere il terrorismo, per individuarlo, per fare prevenzione e quindi c’è da aspettarsi qualcosa, ma non certamente un tracollo del sistema.








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