2016-02-26 08:00:00

Urne aperte in Iran. La sfida è tra conservatori e riformisti


Giornata cruciale oggi in Iran: urne già aperte per circa 55 milioni di cittadini chiamati a rinnovare il Parlamento e l’Assemblea degli Esperti finora dominati dal partito conservatore che fa capo alla Guida suprema religiosa, l’ayatollah Ali Khamenei. A lui si oppongono i riformisti del presidente della Repubblica Rohani. Dunque quali sono i principali interessi in gioco in questa tornata elettorale? Roberta Gisotti lo ha chiesto a Annalisa Perteghella, analista dell’Istituto per gli studi di politica internazionale

R. – Senza esagerare direi che potrebbe esserci in gioco il futuro della Repubblica Islamica, anche se non si potrà parlare in ogni caso di cambiamento radicale istantaneo. Quello che c’è in gioco, in maniera più immediata, è il capitale politico di Hassan Rohani e della formazione politica che si riunisce attorno a lui, perché queste elezioni sono viste un po’ come un referendum sui primi anni di mandato di Rohani, che ha portato a casa il famoso Accordo sul nucleare. Ricordiamo che in questo momento il parlamento è a maggioranza conservatrice e che in questi mesi ha dato battaglia in tutti i modi a Rohani e ai suoi ministri. Per cui quello che Rohani auspica, quello che auspica Rafsanjani, che è uomo vicino a Rohani, è un parlamento più favorevole, in modo da portare avanti l’agenda e le promesse elettorali dello stesso Rohani, perché – ricordiamolo – il prossimo anno ci saranno le nuove elezioni presidenziali, per cui se non dovesse riuscire a realizzare le riforme sociali e politiche che ha promesso in campagna elettorale potrebbe venire penalizzato.

D. – Khamenei ha giocato, ancora una volta, la carta della paura verso il nemico occidentale e del complotto contro l’Iran; mentre Rohani ha puntato molto all’aspetto economico…

R. – Sì. Khamenei ha poi invitato comunque a partecipare alle elezioni, perché un elemento molto importante è quello che le elezioni sono la prova della legittimità – per così dire – del sistema della Repubblica Islamica. Per cui Khamenei e i conservatori a lui più vicini hanno invitato ad andare alle urne, perché una grossa affluenza vorrebbe dire voto di legittimità nei confronti del sistema; invece i più forti oppositori al sistema della Repubblica Islamica hanno invitato all’astensione – astensione che però, ricordiamolo, finisce per danneggiare i riformisti più moderati, perché se non vanno a votare c’è poca speranza di cambiamento.

D. – Quali conseguenze la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento può portare nei rapporti con l’Occidente?

R. – Sicuramente, se dovesse affermarsi la “lista della speranza”, che è la variegata formazione politica che converge attorno a Rohani e ai riformisti, potrebbe proseguire la strada della distensione. Vero è che anche con un parlamento che dovesse rimanere come quello attuale, quindi a maggioranza conservatrice, difficilmente si arresterebbe il processo che è cominciato in seguito alla firma sul nucleare. E parlo dei molti contatti delle varie delegazioni economiche, ecc., perché all’Iran in questo momento interessa riprendere i contatti con il resto del mondo e con tutto ciò che può aiutare a sollevare la propria economia. Ma fino ad un certo punto: nel senso che se dovesse prevalere la fazione conservatrice, questa apertura sarebbe un’apertura certamente controllata. Ma lo sarebbe in ogni caso, perché  poi i vari centri di potere convergono attorno alla guida, per cui il parlamento ha un certo margine di azione, ma soltanto fino ad un certo punto… Quindi una maggiore apertura con un Parlamento a maggioranza moderata e un’apertura, diciamo, più controllata anche per salvaguardare gli interessi economici dei blocchi militari, che stanno con i conservatori, nel caso appunto di una maggioranza conservatrice. 








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