2016-02-24 14:38:00

Orban: in Ungheria faremo un referendum su quote migranti


In Ungheria, si terrà un referendum sulle quote obbligatorie di migranti: lo ha annunciato il premier ungherese, Viktor Orban, senza indicare una data ma precisando che ai cittadini verrà chiesto se sono è meno “d'accordo sul fatto che, senza l'autorizzazione del parlamento nazionale, l'Unione Europea possa obbligare l'Ungheria ad accogliere ricollocamenti di cittadini stranieri sul suo territorio". Nel frattempo, il ministro dell’Interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, ha dichiarato che per affrontare la questione migranti in attesa di una soluzione europea servono misure nazionali. Inoltre, fonti interne allo stesso ministero avvertono che si starebbe pianificando e verificando l’opzione di controlli alla frontiera con l’Italia, sul Brennero. Ed è a Vienna che è in corso il vertice dei Paesi interessati dai flussi migratori della cosiddetta "rotta balcanica" (Albania, Bosnia, Bulgaria, Kosovo, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia), organizzato dal governo austriaco e che ha destato molte polemiche per aver tagliato fuori sia la Grecia, sia l’Unione europea. L'esclusione di Atene è "un atto non amichevole", così il governo ellenico. Francesca Sabatinelli ha intervistato Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana, responsabile dell’area internazionale:

R. – Esprimiamo forte preoccupazione, perché la tendenza è quella di sbarrare la strada, una volta entrati in Grecia, ai rifugiati nel loro cammino vero il nord Europa. Ciascuno mette al centro di questo ragionamento la tutela dei propri interessi nazionali, comunque parziali, erige muri, sbarramenti, ogni tipo di difficoltà per queste persone alle quali non viene garantito a questo punto alcun diritto. C’è il rischio che vengano rimandati in Grecia, creando poi lì un grandissimo ghetto da cui è impossibile uscire sia verso nord che verso sud, anche perché il fatto stesso di pensare di tornare a casa rischia di per sé di essere una condanna a morte. La preoccupazione, molto alta, è che i vertici non siano poi di fatto partecipativi, aperti a tutti e quindi a una lettura del fenomeno in tutte le sue dimensioni, ma che siano piuttosto monodirezionali, miopi e chiusi alle prospettive solamente nazionali.

D. – L’accusa di Vienna, mossa nei confronti di Atene che ha protestato per questo mancato invito, è quella di non avere la volontà di voler ridurre in modo deciso il flusso di migranti. Come si riduce il flusso di persone che, ricordiamolo, fuggono dalle guerre?

R. – Sappiamo benissimo che le provenienze principali sono Siria, Afghanistan e Iraq. Sappiamo benissimo che, a livello geopolitico e militare, la situazione è molto grave. E quindi la causa è facilmente identificabile, così come sono altrettanto chiare le dinamiche e la fuga da questi contesti che diventano invivibili sia per la guerra, sia per la fame, sia per la sete. E' di questi giorni la notizia che il calo dei fondi delle agenzie dell’Onu rispetto ai campi profughi, anche nel nord dell’Iraq, non garantisca più nemmeno l’acqua. Proprio oggi, ci è stato confermato che interi campi profughi, se non cambia nulla, resteranno senz’acqua per giorni e giorni. Queste dinamiche causano fughe di massa, esodi biblici... Come può, la sola Grecia, con i tratti di costa che dovrebbe sorvegliare, cercare di bloccare un’onda che ha delle radici fortissime, gravissime, per le quali le persone hanno il dilemma se morire nella propria terra o nel percorso o in tutte le dinamiche correlate?

D. – Sappiamo che nei Balcani sta avvenendo un effetto domino, persone che vengono rimpallate da un Paese all’altro. Ce ne sono migliaia sono bloccate al confine tra Grecia e Macedonia. In Macedonia, rientrano coloro che sono stati respinti da altri Paesi. Ricordiamo che stiamo parlando di persone: di anziani, donne e bambini…

R. – Sì, per usare le parole di Papa Francesco: “È una vergogna”. Noi, costantemente, quotidianamente, siamo in contatto con le Chiese locali, con le Caritas di tutti questi Paesi. Abbiamo appena incontrato il parroco della parrocchia di frontiera tra Macedonia e Grecia che, con grandissima commozione da parte sua, ci raccontava di come queste persone siano trattate come merci, come pacchi, e non come persone. Non è un fenomeno che nasce oggi. Sappiamo benissimo che tutti i trend relativi al numero di guerre, di rifugiati, sfollati interni sono in aumento: il 2014 e il 2015 hanno costituito i picchi di un fenomeno ben noto. E, quindi, le drammatiche testimonianze che ci giungono in questi momenti non fanno che rafforzare, di fatto, una preoccupazione rispetto a una Unione Europea che non è in grado di aprire in una prospettiva più ampia tutto questo e neanche di gestire fenomeni ampiamenti preannunciati. Quindi, il nostro appello è affinché, veramente, si cambi mentalità nell’orizzonte di Papa Francesco e in quello di una prospettiva che non deve essere vista come preoccupante o fonte di paura, ma come fonte di arricchimento reciproco.








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