2016-02-23 14:28:00

Ravasi ricorda Eco: un ingegno sempre affascinato dal sacro


Si svolgeranno oggi alle 15, presso il castello Sforzesco di Milano, i funerali di Umberto Eco, l'intellettuale, semiologo, scrittore, recentemente scomparso. Alla cerimonia laica partecipano il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, i ministri dei Beni e delle Attività Culturali, Dario Franceschini, e dell’Istruzione, Stefania Giannini. Per un ricordo della personalità di Eco e del suo interesse per i temi religiosi, Fabio Colagrande ha intervistato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, che lo frequentò a lungo, da Prefetto della Biblioteca Ambrosiana di Milano:

R. – L’eredità fondamentale è quella di essere stato una figura capace di spaziare su un orizzonte molto vasto. Pure avendo delle competenze anche molto specifiche, Eco non è mai stato colui che si è rinchiuso nell’interno di un perimetro nel quale potesse soltanto esplicitare la sua specializzazione. Era un uomo veramente di grandi orizzonti e in questo senso – lo dicevamo spesso tra di noi – se c’era una somiglianza, pur nella grande distanza tra noi, era nel fatto che entrambi eravamo eclettici, dai molteplici interessi.

D. – Quale fu il suo rapporto con i temi religiosi, con il sacro? In fondo, da non credente, il grande successo letterario lo ottenne con un romanzo dedicato proprio a queste tematiche…

R. – Non bisogna mai dimenticare che Umberto Eco ha avuto una matrice profondamente cattolica, essendo stato persino responsabile dei giovani di Azione Cattolica ad Alessandria, quando viveva là… Poi, ad un certo momento, ci fu questa sorta di taglio; ma egli continuò ad avere un interesse molto spiccato, creativo anche, nei confronti di quell’ambito che si era lasciato un po’ alle spalle. E soprattutto – direi – due sono i campi nei quali il suo interesse per il sacro si manifestava e che io ho potuto ininterrottamente verificare con lui, nell’interno degli spazi della Biblioteca Ambrosiana: una biblioteca storica come quella non poteva essere che una sorta di ‘giardino – per lui – delle meraviglie’. Da un lato l’amore per la Bibbia, per i Testi Sacri: famosa quella sua dichiarazione proprio per sostenere il ritorno della Bibbia nell’interno dell’insegnamento scolastico, prescindendo dalle questioni confessionali: “Perché i nostri ragazzi devono sapere tutto degli eroi di Omero e non devono sapere nulla di Mosè? Perché la Divina Commedia e non il Cantico dei Cantici o la Bibbia, che ne sono il palinsesto?”. L’altro ambito, invece, era quello della cultura medievale: in particolare - noi sappiamo - la tesi di laurea di Eco sull’estetica di Tommaso d’Aquino; e, in questo orizzonte specifico, c’era anche la sua passione per il beato Raimondo Lullo, questo filosofo catalano, vissuto tra il XIII e il XIV secolo, personaggio che praticava il dialogo con l’islam, che conosceva l’arabo, che aveva interessi che spaziavano dalla logica alla cavalleria, alla teologia, e scrisse quel dialogo del ‘Gentile con i tre saggi’, un pagano e tre sapienti… Ecco, questo personaggio era un esempio delle componenti che costituivano la sua curiosità per il sacro.

D. – Dunque potremmo parlare di un ateo che, però, coltivava il dialogo con i credenti, come ha dimostrato il suo rapporto, il suo dialogo con il cardinale Martini…

R. – Lui era sempre interessato anche a vedere come una persona credente che lavorava nel mondo della cultura potesse stabilire un equilibrio tra Atena da un lato e dall’altra parte Mosè o Cristo. La fede e la ragione. E quindi le interrogazioni erano frequenti, soprattutto poi quando si trattava di questioni di tipo etico, di tipo morale.

D. – Alcuni leggono ne “Il nome della rosa” anche un monito a diffidare dai fanatismi religiosi, dai dogmatismi. E’, in questo senso, una lezione che Eco ha lasciato anche ai credenti?

R. – Io credo di sì, che questa sia una delle chiavi di lettura significative di questo romanzo che, per molti versi, era un po’ il primo suo tentativo di entrare nella narrativa. Io penso che – per esempio – come romanzo sia più elaborato “Il pendolo di Foucault ”. Però è fuori di dubbio che questa dimensione – e devo dirlo, lui stesso me lo diceva – questa dimensione della religione che sconfina progressivamente fino a diventare non più ricerca, testimonianza, ma soprattutto incubo, un incubo di morte persino, sia uno dei tanti fili conduttori di questo romanzo piuttosto polimorfo. E’ stato lui stesso che mi ha fatto ricordare una frase, che io cito spesso, del filosofo  David Hume: “Gli errori della filosofia sono sempre ridicoli; gli errori della religione sono sempre pericolosi”.








All the contents on this site are copyrighted ©.