2016-02-22 10:44:00

Giappone, Mondiali di calcio per atleti con disturbi mentali


A volte, lo sport oltre che gioco è anche terapia. Lo dimostrano i 12 calciatori, tutti con patologie psicotiche e affettive, selezionati per rappresentare l’Italia ai Mondiali per persone con problemi di salute mentale che si terranno in Giappone dal 23 al 29 febbraio. Un’iniziativa per far conoscere l’efficacia terapeutica del calcio, che spesso aiuta le persone con disagi mentali a reinserirsi nella società. Durante il ritiro a Roma, Corinna Spirito ha incontrato la squadra e lo psichiatra Santo Rullo, vicepresidente di "Strade Onlus" che ha promosso il progetto:

R. – Il progetto è partito tre anni fa, quando in Giappone si è tenuta la prima Conferenza internazionale sullo sport per persone con problemi di salute mentale. Vi hanno partecipato otto nazioni, tra cui l’Italia. In quella sede si è deciso di organizzare il primo Campionato del Mondo per poi studiare un’area di intervento sia clinico che organizzativo dello sport per questa categoria di atleti, perché poi in realtà la cosa che abbiamo voluto sottolineare è che questa è una situazione sportiva vera e propria. Adesso, stiamo tentando di creare una squadra che sia competitiva e che può anche diffondere maggiormente l’idea che lo sport possa essere per la salute mentale come la fisioterapia per le malattie fisiche. È importante assicurare a tutte le persone che soffrono di un disturbo psichiatrico degli spazi di sport protetti, che possano migliorare il loro stato di salute.

D. – E c’è ancora scetticismo su questo, magari da parte dei colleghi?

R. – Sì, molto scetticismo! Basta pensare al setting di una psicoterapia: due sedie, una di fronte all’altra, e la mente del paziente che parla con la mente dello psichiatra. Quello che noi vediamo sul campo è la disponibilità dell’atleta con disturbo psichico a leggere la mente dell’altro e farsi leggere dall’altro la propria mente. Questo gli psicoterapeuti cognitivisti la chiamano “Teoria della mente” ed è uno dei disturbi più frequenti nelle varie patologie: l’incapacità cioè di capire le intenzioni dell’altro, da un punto di vista emotivo. Nel calcio c’è una immediatezza – la tattica del fuorigioco oppure la disposizione dei ragazzi che si muovono all’interno del campo – presuppone il fatto che la persona debba mentalizzare quello che andrà a fare l’altro compagno o avversario che sia. E questo è chiaramente un modo per recuperare quelle funzioni alterate.

D. – Il calcio in questo senso diventa una terapia alternativa e complementare?

R. – In qualche modo è alternativa, perché quasi tutte le terapie psichiatriche hanno un difetto: la malattia mentale normalmente quando insorge tende a dissociare mente e corpo e gli interventi terapeuti psichiatrici tendono a concentrarsi soltanto sulla mente. È alternativo lo sport in quanto riavvicina mente e corpo: per fare un gesto atletico bisogna che la mente ritorni al servizio del corpo. Si fa, in qualche modo, il percorso opposto a quello che la malattia in genere determina.

Questi benefici i ragazzi della Nazionale italiana di calcio per persone con problemi mentali li hanno vissuti sulla propria pelle. E ora sono loro i primi testimonial dell’efficacia di una partita di calcio nel trattamento di patologie come la depressione e la schizofrenia. Come Antonio, che spera di diventare un esempio positivo per altri ragazzi affetti da disturbi simili:

“Dopo questa esperienza, siamo soddisfatti. L’importante è che tanti ragazzi si affaccino al mondo dello sport, perché tanti ragazzi – e specialmente con problemi psicologici – non lo fanno… Questo è il messaggio principale: divertirsi e rendersi conto che anche in certe condizioni psicologiche ognuno può dare il massimo in qualsiasi ambito: sia nello studio, sia nel volontariato, sia nello sport… Mettiamo al centro la persona”.

Anche Silvio ha da subito trovato giovamento dagli allenamenti calcistici:

“Praticare uno sport di squadra aiuta a migliorarsi dentro, a relazionarsi, a socializzare, invece di starsene da soli. Anche se la riflessione profonda che fai quando sei solo ti aiuta a capire molti aspetti della vita. Ognuno di noi, anche chi si isola e non vuole fare sport, deve pensare che si deve vincere nella vita e nello sport”.

E proprio l’entusiasmo dei ragazzi della Nazionale per questo progetto apre la possibilità ad altre iniziative similari e continuative. Lo ha spiegato l’ex pugile Vincenzo Cantatore, preparatore atletico della squadra:

“Sembra un po’ presuntuoso dirlo, ma in 2-3 giorni già si vedono i primi risultati. Tanto è vero che noi abbiamo creato una situazione particolare, un progetto che partirà subito dopo questo dei Mondiale e che si chiama 'No contact boxe', in cui lavoreremo maggiormente con i ragazzi che soffrono di pressione, con i parkinsoniani, con chi ha fatto uso di stupefacenti, con chi fa uso di neurolettici, per dare loro una vera risposta, forte, fisica e mentale”.

L’avventura della Nazionale di calcio sarà, inoltre, protagonista di un documentario diretto da Volfango De Biasi perché la storia di questi 12 atleti possa raggiungere più persone possibili e ricordare il lato migliore dello sport: quello che salva e riscatta.








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