2016-02-21 09:00:00

Presidenziali in Niger con migliaia di civili in fuga da Boko Haram


Si svolge questa domenica in un clima di tensione il primo turno delle elezioni presidenziali in Niger, Paese a maggioranza musulmana. Il presidente uscente Mahamadou Issoufou sfida ben quattordici candidati dell’opposizione. Le violenze degli estremisti islamici di Boko Haram hanno causato la fuga di 300mila civili, sfollati nella regione di Diffa, nel Sud-Est del Paese. Anche la piccola minoranza cristiana ha subìto attacchi. Nei campi profughi, 5500 bambini possono andare oggi a scuola grazie a interventi umanitari. Sulla situazione ascoltiamo Nicoletta Confalone, specialista emergenze dell'Unicef in Niger, intervistata nel Paese africano da Giacomo Zandonini:

R. - È una situazione drammatica dal punto di vista della sicurezza e del trauma che hanno subito queste popolazioni a causa degli attacchi di Boko Haram. La situazione poi è resa ancora più drammatica, perché la regione di Diffa, già prima della crisi, aveva tantissimi problemi umanitari. E' la regione più povera del Paese. Quindi la situazione dal punto di vista umanitario era già molto seria.

D. - Si stima in almeno 300mila il numero di rifugiati e sfollati interni nella regione. Quali sono gli ultimi sviluppi?

R. - L’ultimo fenomeno registrato alla fine del 2015 è stato un movimento di massa che ha coinvolto tra le 60 e le centomila persone che, a causa degli attacchi, si sono spostate verso la strada asfaltata, la Strada Nazionale 1. Le popolazioni si sono riversate su cento kilometri mettendo a dura prova le capacità di resistenza delle popolazioni locali.

D. - Come è nata e si è evoluta questa drammatica crisi umanitaria?

R. - La crisi in realtà è cominciata nel 2013, ma non in Niger. E' cominciata in Nigeria con gli attacchi di Boko Haram e quindi con tutti i rifugiati che sono arrivati nella regione di Diffa. In effetti la popolazione di Diffa, nonostante sia molto povera con problemi di servizi, è stata la prima a fornire un’assistenza umanitaria a questi rifugiati. Nel febbraio del 2015 gli attacchi di Boko Haram sono entrati nel territorio del Niger e quindi c’è stato un impatto molto più diretto sulla popolazione nigerina. Il governo ha imposto subito lo stato di emergenza con una serie di limitazioni tra le quali un coprifuoco che ancora non è stato tolto, il divieto di circolare in moto, il divieto del commercio del pesce e del peperone… Una serie di misure che servivano a limitare quelle che si pensava fossero le fonti di reddito per i Boko Haram.

D. – Quali interventi sta portando avanti l'Unicef a favore dei minori rifugiati e delle loro famiglie?

R. - L’Unicef in tutto questo ha cominciato a rispondere immediatamente alla crisi già dal 2013 per appoggiare il governo in forniture di servizi di base. Nel Niger ci sono quattro crisi fondamentali: non solo quella legata a Boko Haram, ma quella legata alla sicurezza alimentare e quindi di malnutrizione con più di 400mila bambini che saranno vittime, secondo le stime, di malnutrizione severa solo nel 2016. Questo vuol dire che se non ci saranno interventi immediati, tutti questi bambini moriranno. C’è la crisi legata alle catastrofi naturali perché tutti gli anni durante il periodo delle piogge delle zone sono vittime di inondazioni. Solo l’anno scorso abbiamo avuto 50mila vittime. Ogni anno ci sono anche delle epidemie di colera. Fortunatamente l’ultimo caso risale all’inizio dell’anno. L’anno scorso abbiamo avuto un’epidemia di meningite molto severa.

D. - Tra gli obiettivi di Boko Haram ci sono le scuole. È possibile oggi garantire l’educazione dei minori rifugiati in queste zone?

R. - Diffa è una delle regioni con il tasso di scolarizzazione più basso del Paese, se non addirittura il più basso. A questo si è aggiunto il problema della sicurezza e della crisi legata a Boko Haram. Insieme con il Ministero dell’educazione e a tutti gli altri partner abbiamo cercato di appoggiare una strategia a due velocità: da una parte la creazione di scuole temporanee per garantire l’accesso alla scuola in siti spontanei dove ci sono  grandi quantità di persone sfollate o rifugiate; dall’altra, sostenere delle scuole già esistenti, aumentare la loro capacità per poter accogliere i bambini sfollati o rifugiati.

D. - In questa situazione drammatica ritornare nelle proprie terre sembra un’ipotesi sempre più lontana. È veramente così?

R. - Ho parlato con più persone e credo che siano ancora troppo traumatizzate per prevedere un ritorno. I pochi che sono riusciti a coltivare lungo il fiume Komadugu cercano ogni tanto di tornare nei loro campi vicino al fiume, ma sono veramente a rischio perché Komadugu è il fiume che segna il confine tra il Niger e la Nigeria. Adesso ci troviamo nelle stagione secca per cui il fiume si sta abbassando e quindi anche i Boko Haram possono attraversarlo più facilmente. Quindi, probabilmente, torneranno se ci sarà la sicurezza. Credo anche che ci siano delle popolazioni talmente traumatizzate dalla violenza degli attacchi, soprattutto i nigerian. Gli attacchi in Nigeria sono stati molto più violenti di quelli in Niger e sarà molto più difficile per loro perché è più di un anno che si trovano qui. Si stanno integrando nei villaggi, nella popolazione locale, alcuni fanno parte delle stesse famiglie, degli stessi gruppi etnici, ma è chiaro che l’altra condizione è che ci siano i servizi di base: poter avere accesso al lavoro, alla salute, al cibo e all’educazione.








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