2016-02-20 13:26:00

Regno Unito, accordo perché resti in Ue: referendum il 23 giugno


Il referendum in Gran Bretagna sulla permanenza o meno nell'Unione Europea si farà il 23 giugno. La data è stata annunciata dopo il compromesso raggiunto tra Ue e Cameron che permette al premier britannico di schierarsi a favore del sì. Cameron, parlando di fronte al numero 10 di Dowing Street, ha sottolineato che "spettera' al popolo britannico decidere" e ha poi ribadito la convinzione che "la Bretagna sia piu' sicura, piu' forte e piu' prospera in un'Europa riformata". Del significato e dell'importanza dell'accordo, Fausta Speranza ha parlato con Enzo Moavero Milanesi, direttore della Scuola di diritto dell’Università Luiss:

R. – Per la Gran Bretagna i punti dell’accordo sono molto importanti e possono essere apprezzati dai cittadini. Noi tutti dobbiamo augurarci che questo possa essere sufficiente a votare “sì” al rimanere nell’Unione Europea.

D. – Quali elementi valutare?

R. – Nel primo punto c’è il riconoscimento di una più netta separazione fra i Paesi che adottano l’Euro come moneta e quelli che non l’adottano: sostanzialmente due sfere di autonomia che si rispettano reciprocamente. Il secondo punto dell’accordo riguarda l’utilizzazione al meglio delle potenzialità del Mercato Unico Europeo, soprattutto nel settore dei servizi. Ricordiamoci quanto rappresentò per la crescita dei Paesi dell’allora Comunità Europea la realizzazione della libera circolazione delle merci. Il terzo punto riguarda un aspetto di carattere istituzionale: si è concordato che quando i parlamenti dei 28 Paesi, rappresentanti il 55% del peso di questi ultimi nell’Unione, ritiene che un certo disegno normativo, un certo disegno di legge europeo, violi il cosiddetto “principio di sussidiarietà” - che è un principio molto importante per l’Ue che dice che l’Unione interviene nei campi di propria competenza solo quando effettivamente si può fare meglio a livello di Unione una data azione, e non a livello di Stati membri e viceversa - allora l’Ue deve abbandonare questo progetto legislativo. Io credo che sia un elemento di forte democrazia. L’ultimo punto, il quarto, è stato molto controverso soprattutto nel dibattito delle settimane e dei mesi scorsi, perché tocca un principio importantissimo per tutti noi cittadini europei: la libera circolazione e la libertà di stabilimento in altri Paesi. E la questione sollevata dai britannici, ma che ancora una volta non riguarda unicamente la Gran Bretagna, è quella di cittadini di altri Stati dell’Unione che diventano residenti in un altro Paese e, in conseguenza di ciò e della loro attività lavorativa, fruiscono immediatamente dell’insieme delle tutele del welfare. Questo afflusso di beneficiari dei meccanismi di cosiddetto “welfare”, che non hanno ancora contribuito pecuniariamente ai medesimi, creava un forte disequilibrio nella sostenibilità dei sistemi stessi e di conseguenza dei conti pubblici. I capi di Stato e di Governo, ieri, hanno deciso che è possibile dare una moratoria di graduale fruizione dei meccanismi di welfare per un periodo di quattro anni. E questo durante un arco di tempo sperimentale di sette anni. Non significa rimanere privi assolutamente di previdenza sanitaria, sociale, pensione e quant’altro, perché si rimane comunque collegati ai meccanismi di welfare del Paese di origine.

D. – Si può dire che in termini di economia e di democrazia, in qualche modo, questo accordo faccia fare un passo avanti un po’ a tutti?

R. – Assolutamente sì. Certamente i punti dell’accordo sono stati sollecitati e auspicati dal governo britannico - dalla Gran Bretagna in vista della campagna referendaria - ma nel momento in cui saranno operativi riguarderanno tutti i Paesi, si applicheranno a tutti i Paesi. Da un punto di vista democratico e di prospettiva di un’Ue, e anche di quella rifondazione che nella dichiarazione recentissima abbiamo ritrovato anche nelle parole del Santo Padre, questo accordo di ieri va nella giusta direzione.








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