2016-02-20 14:00:00

Presidenziali Niger, alla ricerca di pace e sviluppo economico


Elezioni presidenziale questa domenica in Niger: il presidente uscente sfida i quattordici candidati dell’opposizione, in un primo turno denso di incognite. Eletto nel 2011 dopo una travagliata stagione di colpi di Stato, Mahamadou Issoufou ha governato il Paese in un periodo difficile, segnato da crisi regionali e attentati. Il momento è delicato anche per la piccola comunità cristiana, vittima di pesanti attacchi nel gennaio 2015. Giacomo Zandonini ha raccolto in Niger la testimonianza di padre Mauro Armanino, sacerdote della Società Missioni Africane e antropologo, residente da anni nel Paese:

R. – È un clima deleterio per vari motivi: esterni ed interni. Per motivi esterni, perché intorno al Paese c’è una realtà di violenza radicale, jihadista, che ha toccato il Mali, la Libia dal 2011 in poi, la Nigeria. Ci sono stati degli attentati: non dimentichiamo quello alla prigione civile di Niamey, a Agadez e a Arlit; e poi nella zona di Diffa, ad oltre 1000 Km ad Est da qui, ci sono stati più di 300 morti a partire dal mese di febbraio dell’anno scorso. Sono venuti centinaia di migliaia di rifugiati qui dal Mali e da altri Paesi. Quindi, è una situazione tesa all’esterno. E all’interno, dal punto di vista politico, si riscontra la mancanza di un ricambio. A partire dalla Conferenza nazionale sovrana del 1990 sono sempre le stesse facce che passano dall’opposizione al potere, e dal potere all’opposizione. Quindi è una crisi politica. Ma è anche una crisi economica, che continua e si è accentuata, sia perché si è molto puntato sull’uranio, che ha beneficiato pochi nell’insieme, e sul petrolio - soprattutto con i cinesi - e sappiamo del crollo del prezzo di quest’ultimo; e altre materie prime, che però non sono in tutti i casi utilizzate per il bene pubblico.

D. – In un momento di tensione anche la locale minoranza cristiana del Niger è più esposta: è ancora vivo in questo senso il ricordo delle violenze seguite nel gennaio 2015 agli attentati al settimanale parigino “Charlie Hebdo”?

R. – Si vede che si trascina una realtà in cui il cristiano è identificato un po’ con lo straniero. E visto che la Francia, attualmente, non gode di buone simpatie, è chiaro che "Charlie Hebdo" abbia costituito la tipica goccia che ha fatto traboccare il vaso. Poi all’interno c’è anche una crisi che tocca la società nigerina in quanto tale, una crisi complessa e che anzitutto è relativa alla sua Costituzione: si è passati da una realtà egemonica islamica; un Islam moderato che è stato accentuato dalla colonizzazione francese; e poi un processo di re-islamizzazione fatta in parte dalle confraternite e soprattutto in questi ultimi 30 anni, da gente che era andata a studiare in Arabia Saudita e in Egitto e che, tornando, ha cercato in questo tipo di Islam delle risposte che la politica in tutti questi anni non ha saputo dare. Quindi siamo in questa situazione di crisi. E all’interno di questa realtà c’è anche la piccola, fragile, frammentata presenza cristiana. Questa è iniziata con i protestanti; poi con i cattolici circa 85 anni fa. È una presenza fragile: ci sono 50, 100 o forse 150 mila cristiani, per buona parte stranieri, anche se non tutti. Con questo trauma accaduto un anno fa, il 16 e il 17 di gennaio quando 72 chiese e cappelle sono state bruciate, dei negozi sono stati distrutti e anche di alcuni hotel. Alcune persone sono state uccise. È stato un trauma sia per i locali, che si sono sentiti traditi come cittadini di questo Paese, sia anche per gli altri che vivevano qui da molti anni e comunque si identificavano con questo Paese. Qualcosa si è rotto. Se è vero che, secondo la classifica dello Sviluppo Umano, siamo all’ultimo posto, però, per quanto riguarda le persecuzioni siamo al numero 46 secondo l’ultimo Rapporto di “Portes Ouvertes”, una Ong che appunto studia le persecuzioni.

D. – Paese ricchissimo di risorse, il Niger è il Paese più povero al mondo, e fra i più esposti al cambiamento climatico: come possiamo spiegarlo?

R. – Di queste risorse hanno approfittato in pochi, e i soliti: non hanno rappresentato possibilità per tante persone. Per quanto riguarda l’uranio, è da una quarantina d’anni che la Francia con Areva ha preso in mano quasi tutto. Era stato prevista la costruzione di un cantiere enorme che avrebbe fatto del Niger – penso – il secondo produttore mondiale. È stato fermato tutto perché anche l’uranio oggi è un po’ in difficoltà. Però si dimenticava l’impatto ambientale clamoroso che ci sarà nel medio e nel lungo termine, e che si vedrà nei disastri che sono stati provocati: sia le falde sotterranee, la terra stessa, le persone. A parte l’uranio, il petrolio, l’oro, qualche altro materiale che si scoprirà, è un’economia estrattiva utilizzata per foraggiare i politici stessi, o comunque i loro vicini per perpetuarsi nel potere. Questo è uno dei tanti aspetti che rendono questa democrazia fragile. Il Niger ha avuto colpi di Stato, transizioni difficili, e soprattutto, poco ricambio dal 1990.








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