2016-02-20 17:00:00

Orrori dell'Is a Mosul: la testimonianza del parroco di Alqosh


La violenza continua ad essere l’arma più forte dei miliziani jihadisti in Siria e in Iraq. Decapitazioni, impiccagioni e lapidazioni di ragazzi, donne, anziani, colpevoli solo di aver ascoltato musica occidentale o di non aver partecipato alla preghiera del venerdì. Le ultime notizie arrivano da Mosul, ancora roccaforte jihadista, nonostante i raid internazionali nel Nord dell’Iraq. A confermarlo è padre Ghazwan Baho, parroco di Alqosh, unico avamposto della Diocesi di Mosul che resiste all’Is. Gabriella Ceraso lo ha raggiunto telefonicamente:

R. – Queste notizie sì, sono vere, però non abbiamo dei testimoni, perché i testimoni vengono uccisi e poi da Mosul non c’è una via d’uscita; però le notizie arrivano o via Internet su Facebook e poi ci sono, qualche volta, dei contatti via telefono tra gli amici che sono a Mosul e qualche altra persona che si trova a Erbil.

D. – Perché succede questo?

R. – L’Is applica la Sharia e ci sono delle condanne per esempio per chi ruba, a cui viene tagliata la mano, a chi gioca a calcio gli viene tagliata una  gamba o un piede… Ci sono anche delle leggi più severe, quelle relative alla decapitazione o altre.

D. – Chi abita oggi nella città di Mosul?

R. – Mosul contava quasi due milioni di abitanti. I cristiani, nel cento per cento dei casi, sono scappati; chi non era a favore dell’Is, fin dal primo giorno ha lasciato la città. Tanti invece erano a favore, però dopo che l’Is ha cominciato ad applicare interamente la Sharia, alcuni non sono più a favore dell’Is, ma ormai non possono più uscire… Solo una settimana fa un giovane è riuscito ad uscire pagando 30 mila dollari: è una somma di denaro che certo non tutti possono pagare… E poi non è garantito che non venga ammazzato prima di uscire.

D. – C’è più libertà e più sicurezza nel resto del Paese?

R. – In Kurdistan c’è sicurezza, ma nel resto del Paese… Baghdad, ad esempio, non è del tutto sicura, così come anche altre città. Noi, ad Alqosh, siamo a 15 chilometri dalla frontiera con l’Is: l’ultimo villaggio di fronte all’Is…

D. – L’Iraq, come la Siria, è sotto bombardamento da mesi da parte di diverse formazioni internazionali. E si dice che qualche successo lo abbiano avuto. E’ evidente per chi abita in Iraq tutto questo?

R. – Qui ad Alqosh sentiamo i bombardamenti da più di un anno…. Non è cambiata la situazione! Invece in altre parti, come a Ramadi, nel Sud, sono state liberate dall’esercito iracheno.

D. – Quindi, in generale, secondo lei - e secondo le notizie e le testimonianze raccolte anche grazie alla presenza della Chiesa sul territorio  – a che punto siamo in Iraq? Oggi questo Paese come lo definirebbe, come lo giudicherebbe?

R. – Peggiora sempre! Quest’anno l’Iraq è anche entrato in una crisi economica e alcuni membri del governo sono stati anche accusati per i furti che hanno commesso e il governo non riesce a pagare il salario degli iracheni. E poi c’è stato anche questo abbassamento del prezzo del petrolio: in Iraq il 95 per cento delle entrate sono rappresentate dal petrolio. La gente è disperata! Da una parte c’è la guerra, dall’altra parte il governo non ha più soldi e non ci sono più i servizi… Quindi adesso la situazione è ancora più complicata.

D. – Vedete la situazione peggiorare, vedete un fronte nemico che non si allontana e un Paese che è in grande difficoltà. Che cosa è che vi spinge a stare in Iraq?

R. – Per noi, rimanere qui significa dare una speranza a tutti i cristiani dell’Iraq, soprattutto, perché questa è l’ultima città della zona di Mosul non conquistata dall’Is. E’ un segno di speranza! Questo non vuol dire che tutti vogliono restare: alcuni hanno già deciso di lasciare il Paese, ma nella maggioranza siamo qua e continuiamo fin quando possiamo… Però la situazione diventa sempre più complicata, soprattutto se la liberazione di Mosul viene rimandata al prossimo anno: non credo che tanti potranno resistere fino al prossimo anno!








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