2016-02-16 14:33:00

Gli aiuti della Cooperazione italiana per migranti e rifugiati


L’immigrazione è uno dei fenomeni che segnano maggiormente l’epoca contemporanea, un fenomeno strutturale che le emergenze del pianeta non fanno che rendere più acuto. In milioni emigrano nella speranza di un futuro migliore, tanti lo fanno spinti da motivi che vanno oltre la loro volontà: guerre, violenze, fame, miseria. Di immigrazione e di che cosa sta facendo in particolare l’Italia di fronte alle necessità di tanti, Lucas Duran ha parlato con Giampaolo Cantini, direttore generale della Cooperazione allo Sviluppo al Ministero degli Affari Esteri:

R. – Intanto bisogna dire che noi abbiamo a che fare con una realtà di dimensioni veramente impressionanti: 60 milioni di persone, nel mondo, sono costrette a muoversi per ragioni legate a disastri naturali, ma soprattutto alle crisi politiche, alla violenza, al terrorismo e anche a fattori climatici. Di questi 60 milioni di persone, quasi 20 milioni sono rifugiati, più di 38 milioni sono persone delocalizzate all’interno di uno stesso Paese e un milione e 800 mila sono quelle richiedenti asilo. Quindi questa è una realtà molto importante, ma che cosa può fare allora la cooperazione internazionale? Esistono sostanzialmente tre grandi filoni di azione. Una prima parte è l’assistenza ai rifugiati laddove si trovano e pensiamo soprattutto ai siriani: abbiamo più di 4 milioni e 200 mila siriani che sono per la maggior parte tra Turchia, Libano, Giordania ed Iraq. Esiste un secondo filone che è quello di attuare della azioni di stabilizzazione di migranti o di rifugiati – diciamo – proprio per dare loro la possibilità, anche nei Paesi di transito, di svolgere dei lavori, di avviare delle piccole attività. E poi esiste un terzo filone, che non dobbiamo dimenticare e cioè che le migrazioni sono un fenomeno legato alla mobilità internazionale e alle tendenze demografiche e su questo dobbiamo anche riconoscere che le emigrazioni in quanto tali sono un fattore di sviluppo, un veicolo di imprenditorialità.

D. – Vogliamo fare un esempio concreto di quanto fa la Cooperazione italiana?

R. – In Libano e in Giordania aiutiamo i rifugiati, aiutiamo le famiglie -  molte sono donne sole con bambini – ma aiutiamo anche le comunità libanesi, perché effettivamente il peso per questo piccolo Stato è enorme. Quindi c’è una forte componente di assistenza sociale e un’attenzione soprattutto alle scuole. Per quanto riguarda, invece, l’azione di stabilizzazione e quindi la possibilità di offrire delle opportunità di lavoro e di creare anche delle piccolissime microimprese per giovani e donne che sono in fase di migrazione - dalla Somalia, talvolta dallo Yemen, soprattutto attraverso Paesi come l’Etiopia; oppure nel Sahel occidentale, attraverso il Senegal, il Mali, il Niger ed altri Paesi -  è stato istituito un fondo fiduciario dell’Unione Europea di un miliardo e 800 milioni. L’Italia ha contribuito, anzi è il secondo Paese contributore. Infine volevo ricordare un modello per noi molto importante sull’elemento di coinvolgimento delle comunità di migranti in Italia. Abbiamo una buona pratica: si tratta di un programma che è stato avviato in Senegal, attraverso una linea di credito, che ha permesso di finanziare delle imprese in cui i soggetti sono proprio costituiti da migranti senegalesi in Italia, che hanno costituito poi delle piccole imprese. Quindi la migrazione è anche un veicolo di imprenditorialità: nei nostri Paesi, i migranti acquisiscono delle capacità imprenditoriali - anche dei mezzi – che poi possono mettere a beneficio delle loro comunità di origine.

D. – Per quale motivo, secondo lei, bisogna occuparsi anche di coloro che vivono in difficoltà direttamente nei Paesi che poi pongono il problema di fatto della migrazione?

R. – Intanto perché i problemi non possono essere circoscritti a delle aree. La crisi siriana e i grandi spostamenti di popolazione non riguardano solo i Paesi vicini, ma riguardano anche noi: l’Europa ne è stata investita a partire dalla scorsa estate e lo è tutt’ora. Però getterei lo sguardo anche sul lungo periodo: l’Africa è un continente con grandi problemi, con crisi, ma anche con situazioni di crescita importanti – pensiamo all’Etiopia, al Ghana, ad altri Paesi – ed è anche un continente giovane, un continente destinato ad una grande crescita demografica, che ha delle grandissime protezionalità. Quindi gli investimenti - anzitutto nei capitale umano e quindi l’istruzione, la salute, la creazione di impresa – faranno crescere questi mercati e faranno crescere anche le opportunità per le nostre economie e per le nostre imprese.








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