2016-02-14 08:30:00

Cresce tensione in Asia dopo test missilistico nordcoreano


Sale la tensione in Estremo Oriente dopo che la Corea del Nord ha lanciato un razzo a lunga gittata a un mese dall’esecuzione di un ennesimo test nucleare. Corea del Sud e Giappone hanno varato nuove sanzioni. Seul ha sospeso le attività produttive nel parco industriale di Kaesong, un progetto di cooperazione economica tra le due Coree avviato nel 2004. Pyongyang ha ordinato all’esercito di prendere possesso del complesso, a pochi chilometri dal confine. Da parte sua, Tokyo ha annunciato il divieto di accesso ai cittadini accusati di aver contributo al programma nucleare di Pyongyang. E il regime comunista ha sciolto il comitato per risolvere i casi dei cittadini giapponesi sospettati di essere stati rapiti da agenti nordcoreani. Intanto, si fa sempre più concreta la possibilità di un inasprimento delle sanzioni da parte dell'Onu. Sulla situazione ascoltiamo Romeo Orlandi, docente all'università di Bologna, al microfono di Marina Tomarro:

R. – Tra le tante interpretazioni possibili, c’è quella per cui questa escalation della tensione sia una mossa o per mettere la mano sul grilletto oppure, come è auspicabile, per una mossa negoziale. La Corea del Nord alza la posta, mostra i muscoli, e questo potrebbe voler dire o che voglia mettersi al tavolo della trattativa da posizioni di forza, incutendo timore e terrore – ricordo che Seul è soltanto a poche decine di chilometri dalla Corea del Nord – oppure che il Paese potrebbe essere avvitato in una spirale di lotta interna, dove si regolano i conti all’interno facendo dimostrazioni di forza verso l’esterno. Noi non sappiamo quali siano le motivazioni per cui Kim Yong-un, così giovane, così inesperto, forse nelle mani di qualcuno, abbia deciso di rischiare così tanto sia al livello della sua vita personale e ovviamente al livello dei suoi 22 milioni di "sudditi". Per cui è difficile dare un’interpretazione. Io ritengo che anche la Cina, grande  protettrice della Corea del Nord, abbia smesso di ragionare e di pensarci. Ormai la Corea del Nord è più un problema per la Cina che una soluzione.

D. – Secondo lei, qual è il reale potenziale militare della Corea del Nord?

R. – Ritengo che l’interpretazione generale degli analisti sia giusta: un forte potenziale militare capace di sferrare un primo colpo devastante, ma che poi non potrebbe reggere l’urto né della controffensiva sudcoreana né tantomeno dell’intervento statunitense. E’ un equilibrio del terrore, però, quello sul quale sta giocando Pyongyang, è veramente una mentalità da guerra fredda. Anche solo il primo colpo sarebbe devastante, perché Seul è una metropoli di 12 milioni di abitanti circa, a pochi chilometri dalla frontiera, è relativamente facile colpirla. E’ chiaro, poi, che la controffensiva sarebbe devastante per la Corea del Nord. I danni che può infliggere sono forti ed è questo l’asso nella manica o perlomeno la carta che Kim Yong-un vuole giocare.

D. – L’Onu ha previsto un inasprimento delle sanzioni. Quali potrebbero essere le conseguenze?

R. – Una sofferenza del popolo nordcoreano che potrebbe ritornare a dei livelli di penuria alimentare. Non credo che la nomenclatura soffra molto. Lì il vero nodo è la Cina, che mantiene in vita la Corea del Nord dal punto di vista alimentare, energetico e anche politico. Il guaio per la Cina, che adesso controlla meno di quanto vorrebbe la Corea del Nord, è che se scoppia una crisi nella Corea del Nord, la Cina verosimilmente è una delle vittime di questa crisi, intanto per motivazioni politiche. Si ritroverebbe cioè un bacino di guerra e le truppe statunitensi o nordcoreane o addirittura giapponesi ai suoi confini e poi ai confini dovrebbe gestire una crisi umanitaria gigantesca con milioni di persone che cercano riparo in Cina presso i congiunti. Per cui non credo che le sanzioni possano inasprire la vita della dirigenza nordcoreana. Possono creare maggiore tensione, ma da sole non credo che riescano a risolvere il problema.

D. – Quali sono i rapporti attuali tra Pechino, la Russia e Pyongyang?

R. – Sono dei rapporti di vicinanza pragmatica. Nessuno di questi tre Paesi ama l’altro. Esiste un bacino di convenienza, esistono delle forti disparità e la Corea del Nord, al contrario di tante previsioni, non si è avviata verso un percorso di riforme e di spazio all’imprenditoria privata così forte come ha fatto la Cina popolare. Esiste lì una contrapposizione anti-statunitense, anti-giapponese, forte, radicata, che però non segnala né amore né amicizia per questi tre Paesi. Per cui fino a quando riescono a gestire una situazione, avendo l’antagonista nel mondo occidentale soprattutto negli Stati Uniti, la situazione è stabile o relativamente stabile, seppure pericolosa. Laddove, invece, le situazioni precipitano io non credo che si possa parlare di amicizia duratura tra Corea del Nord e Cina e Russia. Poi ognuno tenderà, come spesso succede da quelle parti del mondo, al proprio nazionalismo interno.








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