2016-02-06 06:45:00

Siriani in fuga: Turchia chiude frontiera, è catastrofe umanitaria


Decine di migliaia di siriani ammassati nel Nord del Paese, al confine con la Turchia: tentano di fuggire dai raid aerei russi e dall'offensiva militare in corso da giorni da parte delle forze governative. Il servizio di Fausta Speranza:

Un altro esodo: migliaia di uomini, donne e bambini,  verso la Turchia, anche se  Ankara continua a tenere chiusi i posti di frontiera. Sul piano della comunità internazionale, la Nato accusa Mosca: "Mina gli sforzi per una soluzione politica al conflitto". Da parte sua, l'inviato speciale dell’Onu, Staffan De Mistura, ancora impegnato a fornire la sua relazione al Consiglio di Sicurezza sulla sospensione dei colloqui di Ginevra decisa nei giorni scorsi, rimanda alla riunione, la prossima settimana a Monaco di Baviera, del cosiddetto Gruppo di Vienna, tra cui anche Iran e Arabia Saudita. Sul terreno, le forze governative avanzano anche nel Sud della Siria al confine con la Giordania. E Ankara ha cominciato a innalzare un muro di divisione nell'unica zona frontaliera a Nord di Aleppo non controllata dal sedicente Stato islamico. Resta da dire che l'agenzia ufficiale siriana Sana e siti delle opposizioni hanno riferito della conquista da parte dei governativi di Atman, alle porte di Daraa.  La città era stata, nel 2011, la prima roccaforte delle proteste anti-regime e teatro delle sanguinose repressioni poliziesche e militari che hanno contribuito a innescare il conflitto, diventato incendio regionale. Più di 250mila siriani sono morti dal 2011 e oltre la metà dei 21 milioni di siriani hanno dovuto abbandonare le loro case, come profughi all'estero o come sfollati in patria.

Delle conseguenze dei raid aerei russi e delle prospettive per quanto riguarda i negoziati, Fausta Speranza ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di geopolitica all’Università Cattolica di Milano: 

R. – Va sicuramente detto che i raid aerei russi sono estremamente pesanti e tengono molto meno conto della protezione della popolazione civile rispetto ai raid della coalizione internazionale a guida statunitense. L’altro problema dei raid russi è che più che colpire l’Is – cioè le truppe jihadiste del califfato – colpiscono l’opposizione sunnita ad Assad che spesso era sostenuta, almeno indirettamente, dall’Occidente.

D. - È per questo che la Nato dice che in qualche modo ostacolano i tentativi di negoziato?

R. – Il negoziato è in crisi per molti motivi. La Nato ha sempre una percezione estremamente antirussa e molto poco bilanciata e questo va detto. I negoziati sono in crisi per colpa dell’Arabia Saudita che rifiuta di riconoscere un ruolo regionale all’Iran come nella logica delle cose. Certo i raid russi non aiutano, non facilitano. Va anche detto che questi sono la conseguenza del fatto che dal 2012 al 2014 l’Occidente si è rifiutato di riconoscere alla Russia e all’Iran il ruolo regionale, che da anni questi Paesi giocano in Siria, e Putin non è un uomo che si fa mettere all’angolo.

D. - Dopo il fallimento a Ginevra, la prossima settimana riunione a Monaco di Baviera. Ci saranno anche Iran e Arabia Saudita. Ma quale presenza è davvero essenziale?

R. - I negoziati devono essere più inclusivi possibile, ovviamente escludendo i terroristi Daesh. Il problema di tutte queste riunioni, che ormai si susseguono in continuazione, è che manca l’accordo tra i tre attori principali regionali: Arabia Saudita, Iran e Turchia. Soprattutto l’Arabia Saudita non è disposta a riconoscere il ruolo iraniano e tutti sono disposti a giocare sulla pelle della popolazione siriana per fare le loro “proxy wars”, cioè guerre per procura, pagate essenzialmente dai civili siriani.

D. – Che dire dell’ennesimo esodo di massa che stiamo vedendo dalla Siria verso la Turchia?

R. - È una catastrofe umanitaria. Ormai il conflitto siriano si aggiunge alla catastrofe del conflitto iracheno e di tutti gli ultimi 15 anni di disastro in Iraq. Nel Levante ormai abbiamo centinaia di migliaia di morti e centinaia di migliaia di feriti, milioni di rifugiati in altri Paesi del Levante o verso l’Occidente, verso la Turchia. Noi europei abbiamo un atteggiamento spesso orribile, di sufficienza, di rifiuto, ma i Paesi regionali come Libano, Turchia, Iran, Giordania hanno milioni di questi profughi, che vivono però spesso in condizioni inaccettabili. Bisogna rispondere alla catastrofe umanitaria con umanità e misericordia, per citare le parole di Papa Francesco.

D. - Un conflitto siriano, come continuiamo a definirlo, ma ormai è più un conflitto regionale …

R. - È chiaramente un conflitto regionale. La posta in gioco – se mai lo è stata - non è più di instaurare la democrazia in Siria, un Paese ormai devastato e che lo sarà per i prossimi decenni. Evidentemente è una guerra di equilibrio geopolitico regionale fra attori che si curano molto meno, rispetto al passato, di quanto dice la comunità internazionale e di quanto possa dire Washington, a lungo molto assente e distratto in questa crisi.








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