Il celibato sacerdotale è una vocazione, un dono di Dio, ed è particolarmente conveniente per la missione della Chiesa. Lo ha affermato il cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin, concludendo il Convegno iniziato giovedì scorso alla Pontificia Università Gregoriana, sul tema “Il celibato sacerdotale, un cammino di libertà”. Una sintesi del suo intervento nel servizio di Adriana Masotti:
Una scelta non sempre compresa quella del celibato per quanto riguarda la vita sacerdotale, anzi spesso criticata anche a motivo dell’attuale calo del numero delle ordinazioni.
Un cammino di libertà
Il cardinale Parolin sottolinea che ogni discepolo
avanza sempre nell’incontro con Dio non dando nulla per conquistato “una volta per
sempre”. Così’ il sacerdote è in cammino e ogni giorno deve rinnovare l’offerta della
propria vita a Cristo e alla Chiesa, vigilando su se stesso. E la libera quotidiana
offerta di sé, rinnovata nella preghiera permette al contempo una crescita e una maturazione
di tutta la persona. Cristo, afferma il porporato, chiede uomini liberi, interiormente
sereni, con una struttura personale equilibrata e matura, consapevoli delle esigenze
della chiamata e liberamente disponibili, con l’aiuto della Grazia, a viverle pienamente.
Solo un uomo libero può essere anche serenamente celibe e, dunque, il celibato è un
cammino di libertà che dura tutta la vita.
Il mistero del prete: uomo configurato a Cristo
Il celibato è poi in stretta relazione con l’identità
presbiterale stessa. Il sacerdote infatti è “un uomo configurato a Cristo” e la sua
identità, continua il cardinale, è il suo “non appartenersi”. Il prete, insomma, è
prete solo nella misura in cui la sua vita è totalmente rivolta a Colui che lo chiama.
Come Cristo il sacerdote è per servire i fratelli, come Cristo è segno dell’amore
totale e verso la sua sposa, la Chiesa. Lungi dall’essere una rinuncia o una separazione
dall’umanità, il celibato al contrario manifesta il profondo legame tra il prete e
il popolo.
Il celibato, vocazione per la missione, va scoperta, accolta e custodita
La vocazione al celibato, afferma il segretario di
Stato, non è contraria ai desideri di felicità e di pienezza e può essere accolta
solo in un rapporto con il Maestro. Il celibato infatti è richiesto da una norma disciplinare,
ma questa norma ha un fondamento vocazionale. Non si dà la propria vita per rispettare
una regola, ma per offrirla a una persona, a Dio stesso, e così farne un dono per
tutti gli uomini, per la Chiesa e per il mondo. Per il sacerdote che l’ha accolta,
la vocazione al celibato, nell’equilibrio e nella disciplina degli affetti, si alimenta
nella vita quotidiana attraverso una serie di relazioni: con il Signore, con i propri
cari – i confratelli, i famigliari e gli altri amici – nonché con i fedeli, affidati
in ragione del ministero.
La “speciale convenienza” del celibato per la missione apostolica
Il cardinale Parolin spiega che la Chiesa Latina continua,
nonostante tutte le difficoltà e le obiezioni sollevate lungo i secoli, a ritenere
conveniente fare la scelta di conferire l'ordine presbiterale solo a uomini che diano
prova di essere chiamati da Dio al dono della castità nel celibato assoluto e perpetuo”.
E ne spiega le ragioni: nel celibato il sacerdote è libero per amare tutti in Cristo.
Il celibato costituisce per il sacerdote l’opportunità di farsi carico, in profondità
e verità di volta in volta delle persone e delle situazioni che incontra in ragione
del suo ministero. Il suo amore poi è libero, perché non contiene il desiderio di
possesso. Per la sua vita e la sua missione, conclude il cardinale, il celibato è
un “viaggiare leggeri” per arrivare a tutti, portando solo l’amore di Dio.
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