2016-01-29 08:06:00

Apre tra speranze e incertezze il vertice di Ginevra sulla Siria


Si aprono con molte riserve i colloqui di pace sulla Siria in programma oggi a Ginevra, in Svizzera.  L’opposizione filo-saudita ha annunciato nelle ultime ore che non parteciperà ai negoziati finché non ci sarà un accordo sugli aiuti alle città assediate. E l’Iran accusa l’Arabia Saudita di aumentare l’influenza sui negoziati. Il servizio di Marco Guerra:

Veti incrociati e diffidenze gettano una grossa incognita sull’apertura dei colloqui di pace per la Siria prevista oggi a Ginevra. I gruppi ribelli riuniti a Riad nella tarda serata di ieri hanno deciso di non partecipare, ritenendo che il governo dovrebbe prima fermare i bombardamenti e permettere i rifornimenti umanitari nelle aree assediate sotto il controllo degli insorti, come previsto da una recente risoluzione Onu.

Fa da sponda a Damasco, invece il viceministro degli Esteri iraniano, secondo il quale i “terroristi con una nuova maschera non dovrebbero stare ad un tavolo negoziale con le autorità siriane", e accusa i sauditi stanno di voler aumentare le loro pressioni sullo scacchiere siriano. Intanto si rafforza l’asse Mosca – Damasco, i ministri della Difesa dei due paesi hanno ribadito la loro volontà di “accrescere ulteriormente la cooperazione”. La Turchia dal canto suo continua a chiedere l’esclusione di Assad e dei curdi dai negoziati. E sui motivi dell’ormai certa esclusione curda dal tavolo di Ginevra, Giada Aquilino ha intervistato Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali all’Università di Firenze:

R. – C’è un attore cruciale per quello che riguarda ogni futuro negoziato rispetto all’assetto che la Siria dovrà assumere alla fine della guerra civile in atto: questo attore è ovviamente la Turchia. La Turchia si è sempre opposta nettamente alla partecipazione del Partito dell’Unione democratica curda ai negoziati, perché lo considera un’emanazione del Pkk che opera in Turchia. Quest’ultimo a sua volta è ritenuto essere un’organizzazione terroristica. Quindi anche il Partito dell’Unione democratica curda e la sua emanazione militare – le cosiddette Unità di protezione popolare (Ypg) – sono visti alla stregua di organizzazioni terroristiche, perciò non aventi lo status per partecipare a dei colloqui che dovrebbero vedere seduti allo stesso tavolo da un lato i rappresentanti del governo siriano di Assad e dall’altro le principali formazioni di opposizione al governo medesimo.

D. – Dal punto di vista strategico che ruolo hanno di fatto il partito curdo e la sua ala armata sul terreno?

R. – Hanno un ruolo indubbiamente decisivo per quello che riguarda soprattutto il destino delle regioni settentrionali della Siria. Occorre ricordare che i curdi sono stati i più efficaci oppositori dei tentativi di espansione – e penso al caso di Kobane – del sedicente Stato islamico, Daesh, verso quell’area. Il problema però è che le formazioni curde non sono coese, o meglio: c’è una forte divisione politica e strategica tra la posizione della minoranza curda presente in Iraq e le posizioni dei curdi in Siria, in particolare del Partito dell’Unione democratica curda, che è la seconda maggiore formazione assieme al Consiglio Nazionale curdo. Questo perché i curdi del governo autonomo del Kurdistan iracheno di fatto hanno stabilito dei rapporti di cooperazione, economica e soprattutto politica, con il governo di Erdogan; ma la Turchia ha una posizione completamente diversa rispetto al Patito dell’Unione democratica curda. Quest’ultimo peraltro risente della posizione adottata dal Pkk in Turchia che, dopo l’attentato in cui rimasero uccisi 32 curdo-turchi, ha lanciato una campagna terroristica contro il governo turco, fondata sulle uccisioni di poliziotti e militari: tale campagna ha esacerbato i rapporti tra il Pkk e il governo turco, in questo pluridecennale, sanguinosissimo conflitto interno.

D. - La Russia, che è invece il principale sponsor di una partecipazione curda ai negoziati, spera che i curdi siano fuori solo in questa fase, ma che poi possano entrare in un secondo momento. È possibile secondo lei?

R. – Molto dipenderà dalla capacità di pressione russa e dalle posizioni sul terreno, conquistate dalle singole fazioni e dai singoli spiegamenti di forze. E naturalmente da come evolverà la situazione interna in Turchia. Alle spalle di queste diverse posizioni c’è anche il contrasto e il confronto, che ha assunto toni drammatici negli ultimi mesi, tra la Turchia da un lato e la Federazione Russa dall’altro.

D. – Le polemiche sulle divisioni dell’opposizione siriana sembrano far passare in secondo piano in questo momento la questione cruciale: cioè il futuro di Assad…

R. – Certo. È davvero la questione cruciale, perché è la maggiore pietra d’inciampo rispetto a qualsiasi prospettiva di conclusione positiva della nuova sessione negoziale che si va ad aprire a Ginevra. Forse una soluzione potrebbe essere quella di favorire un’uscita "morbida" di Assad, mantenendo però al potere in sua sostituzione qualcuno del suo entourage che sia politicamente presentabile anche nei confronti di una parte dell’opposizione “democratica”, anche se individuare esattamente quella che in Siria in questo momento è l’opposizione democratica, o considerata tale, non è affatto semplice.

 

 








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