2016-01-27 12:12:00

Giornata Memoria: celebrazione al Quirinale, parla Alberto Mieli


Il presidente Mattarella ha celebrato il Giorno della Memoria al Quirinale. Per il capo dello Stato “Auschwitz, con i suoi reticolati, le camere a gas, i forni crematori non ci abbandona. Ci costringe a tornare sul ciglio dell'abisso e a guardarvi dentro”. Per Mattarella “la costruzione dell'Unione europea rappresenta la risposta politica alla Shoah”.

Tante le cerimonie in tutto il mondo in occasione della Giornata della Memoria delle vittime della Shoah. La data scelta per la commemorazione è quella dell’anniversario dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, avvenuto il 27 gennaio 1945, da parte delle truppe sovietiche. Un ebreo opravvissuto, Alberto Mieli, ha deciso di raccontare dopo 71 anni la sua infernale esperienza di deportato nel lager di Auschwitz. L’intervista è di Fabio Colagrande:

R. – Sono diversi anni che vado nelle scuole, nelle università e negli atenei a raccontare la verità di quello che succedeva nei lager. Però i particolari li racconto adesso…

D. – Perché ha deciso di raccontare?

R. – Prima di tutto per dovere verso quei compagni che non sono ritornati a casa; e poi perché è un dovere raccontare ai giovani quello che è successo in quei lager e ciò che i miei occhi hanno dovuto vedere.

D. – Lei racconta, più volte, che era impossibile immaginare l’orrore che avreste trovato nei lager e poi, per molto tempo, è stato impossibile raccontarlo…

R. – Ho assistito a episodi che nessuna mente umana può immaginare! Uno in particolare, lo racconto ai ragazzi quando vado a testimoniare: chi è che non si è mai intenerito davanti a un cucciolo di un cane, a un micino. Abbiamo paura pure di toccarlo per non fargli del male: invece loro, i nazisti, prendevano bambini di 6-7 mesi, che balbettavano dal freddo; li prendevano per i piedini, come quando escono dalla pancia della madre; li facevano dondolare 6-7 volte e poi con violenza li tiravano in alto e sparavano, come se fossero dei volatili…

D. – Nel suo libro lei dice che i giovani devono sapere, devono conoscere anche questi episodi crudeli e orribili: perché?

R. – I giovani devono sapere! E’ giusto che sappiano, perché non c’è stato solo quell’episodio: ce ne sono stati a centinaia… Uccidere un deportato era una cosa normalissima. Non era una cosa anormale: per loro, specialmente la domenica, quando si ubriacavano, uccidere 10-20 deportati così, per divertimento, era una cosa normale.

D. – Ci sono degli episodi di solidarietà che le sono rimasti impressi: persone che pur in quell’inferno facevano del bene, cercavano di fare del bene?

R.- Io sono uno esempio di quelli: quando mi hanno liberato, il cervello è andato subito a pensare alla famiglia e mi domandavo: “Che fine avranno fatto? Si saranno salvati?”… E il Signore mi ha premiato: 8 inquilini hanno preso i miei 8 fratelli: ogni inquilino del palazzo ha preso un mio fratello e lo curava, gli dava da mangiare, lo lavava, come se fosse un figlio…

D. – Signor Mieli, dopo Auschwitz, come è riuscito a mantenere la fede e anche la fede, in qualche modo, nell’umanità?

R. – Anche io ho peccato nel lager: quante volte ho detto: “Ma dov’è questo Signore? Dov’è questo Padre Eterno che permette tutti questi eccidi?”. Poi  magari ritornavo di nuovo a pregarlo affinché salvasse tutta la mia famiglia… Un giorno Papa Wojtyla mi domandò: “Figliolo, come hai fatto a salvarti da quell’inferno?”. Io lo guardai e gli dissi: “Santità, a questa domanda non so rispondere! Però so una cosa certa: lei è una persona molto più colta di me, molto più istruita, molto più brava e perciò gli sta molto più vicino lei che non io: dovrebbe domandarlo al Signore...”.








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