2016-01-19 15:20:00

Vittime di tratta e richiedenti asilo: spesso un unico destino


Dall’inizio dell’anno, sono almeno 77 i migranti morti in mare nell’Egeo, 18 quelli annegati nel canale di Sicilia. Le cifre sono dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni che elenca stime drammatiche: nei primi 18 giorni del 2016 in Grecia sono arrivate via mare oltre 31 mila persone, 21 volte gli arrivi dell’intero gennaio scorso. La maggior parte degli arrivi riguarda siriani, seguiti da afghani, iracheni, perlopiù richiedenti asilo. Un fenomeno si delinea sempre più proprio tra i richiedenti protezione internazionale ed è stato messo in luce in un Convegno oggi a Roma organizzato dall’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) e da altre sigle: la presenza di vittime di tratta tra i richiedenti asilo è un fenomeno in aumento. Il servizio di Francesca Sabatinelli:

“E’ sempre più difficile separare i percorsi fisici e individuali delle persone in cerca di protezione internazionale da quelli delle vittime di tratta”.  E’ grave l’allarme lanciato da chi la tratta degli esseri umani la combatte a tempo pieno, e che ci ricorda come la sfida migratoria si accompagni ad altre drammatiche sfide, come appunto quella costituita dalla tratta. Quale intreccio esiste tra richiesta di protezione internazionale e lo sfruttamento a vario titolo, da quello sessuale, a quello lavorativo, all’accattonaggio? C’è una correlazione molto stretta, emersa nel Convegno romano: spesso le persone che chiedono protezione sono anche vittime di tratta. Per alcune il percorso si avvia sin dalla partenza, per altre si delinea all’arrivo, anche all’interno dei grandi centri di accoglienza, perché è anche lì che i migranti vengono a contatto, o addirittura convivono, con gli sfruttatori. Mirta Da Pra, responsabile progetto vittime del Gruppo Abele:

R. – Quello che noi diciamo e che abbiamo visto è che bisogna avere degli operatori e delle persone che, ai diversi livelli, sappiano identificare le vittime. Parlo anche delle forze di Polizia, parlo della magistratura, parlo di tutte quelle realtà, come l’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni - ndr), che sono sui luoghi del primo arrivo. Anche nelle prefetture e nei luoghi di smistamento bisogna fare in modo che non siano messi in contatto subito con gli sfruttatori presenti sul territorio: dobbiamo intercettare noi le persone, prima degli sfruttatori. E poi bisogna fare in modo che le persone siano più osservate, attraverso progetti in cui gli operatori possano osservare chi è vittima e chi può essere anche sfruttatore. Occorre poi tenere occupate le persone: l’inattività, il fatto di non poter fare delle cose, il non mandare soldi a casa, non avere l’idea che il progetto riesca, fa sì che le persone finiscano in circuiti anche di illegalità e di sfruttamento.

D. – Ci sono molte polemiche legate agli  “hotspot”: le autorità locali – penso a Lampedusa – denunciano il fatto che non ci siano delle regole e che la trasformazione in “hotspot” abbia creato molti più problemi…

R. – Sicuramente, quello che noi vediamo è che manca l’attuazione di una strategia che esiste. Sulla carta ci sarebbe già un sistema di accoglienza, ma sta di fatto che però non si fanno i conti, ad esempio con la ridistribuzione: 400 Comuni, invece che 8 mila, che accolgono, hanno bisogno di una strategia, ci vuole un accompagnamento del piccolo comune che deve accogliere, perché magari non sa neanche da che parte cominciare. Per cui è necessaria una strategia sulla gestione degli immigrati, includendo l’osservazione e la competenza di chi si occupa di vittime di tratta, cosa che fino ad oggi non c’è mai stata. Dico di più: le vittime di tratta, da anni ormai, sono dimenticate dalla politica e dalle politiche. Un’assenza di questo genere ha fatto sì che tanti progetti chiudessero. Prima avevamo un Ministero delle Pari Opportunità, oggi non c’è più; prima c’era un referente politico, oggi non c’è più neanche quello. E una delle domande che ci stiamo facendo ormai da anni: deve rimanere lì il discorso della tratta? E’ meglio che vada agli Interni, al Ministero del Lavoro? E’ assolutamente importante, anche perché questo il tema - con l’art. 18 (prevede il rilascio di uno speciale permesso di soggiorno alle persone vittime di violenza e grave sfruttamento e la loro partecipazione ad un programma di assistenza e integrazione sociale ndr), il miglior articolo che c’è in Europa e nel mondo sulla tratta - oggi manca della seconda parte di applicazione: da una parte si zoppica con l’accoglienza alle vittime, mentre dall’altra il contrasto non viene assolutamente fatto, non come dovrebbe essere, il che vorrebbe dire separare vittime da persone, invece, che lucrano su questo. E questo sarebbe utilissimo, in termini anche di giustizia e di politiche, e quindi accogliere da una parte, punire invece chi sfrutta.








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