2016-01-19 13:02:00

Don Bettega: ecumenismo è coerenza evangelica non manierismi


La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, iniziata ieri, vive di molteplici iniziative in tutto il mondo. A fare da filo conduttore quest’anno è certamente il tema della misericordia, posto da Papa Francesco al centro di un Anno Santo straordinario. In che modo testimoniare la misericordia può aiutare il progresso del dialogo ecumenico? Fabio Colagrande lo ha domandato a don Cristiano Bettega, direttore dell'Ufficio Cei per l'ecumenismo e il dialogo interreligioso:

R. – Riflettere, anche in maniera concreta, sul tema della misericordia sicuramente è un discorso, diciamo così, teologico: è uno degli aspetti del volto di Dio. Ma rischierebbe di rimanere soltanto una bella riflessione se poi non trovassimo occasioni concrete per tradurre in pratica questo discorso di misericordia: una di queste concretizzazioni io credo sia proprio l’ecumenismo. Anzitutto, dobbiamo partire dal concetto che la misericordia riguarda ogni uomo e ogni donna: Dio è misericordioso verso tutti, indistintamente. E se Dio rivolge la sua misericordia indistintamente verso ogni uomo e ogni donna, se noi cerchiamo di essere coerenti con il suo messaggio dovremmo cercare di fare altrettanto. Penso poi che la misericordia vada rivolta anche verso se stessi. Forse, anche io ho bisogno di guardare a me stesso con occhi di misericordia – a me stesso e quindi anche alla mia Chiesa – e a riconoscere, se vogliamo, anche le incoerenze. Questo, in un certo senso, è anche fonte di comunione, perché ci rendiamo cioè conto che essere cattolici o protestanti o anglicani o ortodossi non significa essere migliori o peggiori degli altri: significa riconoscere che questa misericordia Dio la rivolge verso di me e verso gli altri, ma gli altri ne hanno bisogno così come ne ho bisogno io.

D. – Quando si parla di Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, si parla di un argomento che non interessa molto ai grandi mezzi di comunicazione o all’informazione che viaggia sulla Rete. Eppure, il Papa lo ha ricordato, è importantissima la testimonianza comune in un mondo lacerato da conflitti e segnato dal secolarismo…

R. – Certo, sì. E’ vero, molto spesso, tolta la Settimana dal 18 al 25 gennaio, tolte altre occasioni che comunque durante l’anno si creano, in generale i mezzi di comunicazione non sono molto attenti a questi temi, né relativamente all’ecumenismo né relativamente al dialogo fra le religioni – quando, invece, il Papa lo ha messo in cima ai punti del suo programma pastorale sin da subito: ha iniziato a parlare e ad agire in maniera molto concreta a favore dell’ecumenismo e del dialogo e a ripetere in ogni circostanza e in ogni occasione questa necessità. Credo veramente che dobbiamo tutti aiutarci, gli uni gli altri – anche con pazienza e allo stesso tempo con fermezza – a capire che approfondire o forse tante volte inaugurare uno stile ecumenico non è questione di bella maniera, non è questione di buona educazione: siccome viviamo molto spesso come cattolici a contatto con cristiani di altre tradizioni, allora tanto per essere educati guardiamo con un sorriso ai fratelli di altre confessioni cristiane… No, non è questione di buone maniera: è questione di coerenza della testimonianza cristiane. Di questo la storia ci sta già da subito chiedendo conto.








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