2016-01-13 13:39:00

Sud Sudan, allarme carestia: 30 mila persone a rischio


Un “rischio concreto di carestia” per almeno 30 mila persone. È l’allarme rilanciato dalla Commissione internazionale garante degli accordi di pace in Sud Sudan, in base ad una stima dell’Onu resa nota nelle scorse settimane. L'ex presidente del Botswana, Festus Mogae, capo della Commissione di sorveglianza e valutazione dell’intesa, siglata in agosto tra il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il rivale, l'ex presidente Riek Machar, ha fatto appello ai belligeranti affinché permettano il passaggio degli aiuti umanitari nelle zone di conflitto, perché “soltanto una parte del cibo necessario per l'emergenza” ha raggiunto le zone dove ancora si combatte “per le restrizioni imposte ai convogli e in ragione dell'insicurezza”. Nel frattempo, l’Unicef ha denunciato che proprio il Sud Sudan fa registrare la più alta percentuale al mondo di bambini che non vanno a scuola. Giada Aquilino ne ha parlato con Enrica Valentini, direttrice della Rete delle Radio Cattoliche del Paese:

R. – L’Unicef riporta che più o meno la metà dei bambini in età scolare – scuola primaria e secondaria - non va a scuola. Le cause sono molte: ci sono problemi logistici, quindi legati alla carenza di strutture e di insegnanti, ma anche al movimento delle persone, con gli sfollati che a causa della guerra si sono mossi dalla loro zona di origine e si trovano in campi dove le strutture per fornire educazione sono scarse rispetto al numero di persone che ci sono. Un’altra causa può essere quella economica: le famiglie non possono permettersi di mandare i propri figli a scuola o preferiscono mandarli a lavorare per poter guadagnare di più, perché il costo della vita aumenta di giorno in giorno e i prezzi, nel giro di poche settimane, sono più che raddoppiati, sono triplicati. Un ulteriore elemento è anche la carenza di insegnanti: molto spesso, questi vengono da altre zone del Paese o addirittura da altri Stati. Nel momento in cui alcune zone sono insicure, l’insegnante non va.

D. – In agosto, sono state siglate delle intese di pace per il Sud Sudan, tra i rappresentanti del presidente, Salva Kiir, e quelli del rivale, l’ex-presidente, Riek Machar. Di fatto la situazione sul terreno qual è?

R. – Sul terreno poco si è visto. Il passaggio dalla carta alla realtà richiede tempo: si sono tenuti degli incontri, è stata creata la Commissione garante degli accordi di pace ma la situazione, soprattutto per le persone, non è cambiata.

D. – L’Onu ha parlato di rischio concreto di carestia per almeno 30 mila persone nello Stato di Unity, perché?

R. – La gente è andata via e non ha potuto coltivare. Chi è rimasto, si è nascosto per sfuggire ai combattimenti. Quindi, non c’è stata praticamente produzione agricola. E inoltre, è anche difficile l’accesso per la distribuzione degli aiuti umanitari.

D. – Le restrizioni imposte ai convogli sono in ragione dell’insicurezza? Cioè: si combatte ancora?

R. – Non apertamente. Ci sono magari in alcune zone piccoli scontri. Però comunque c’è tensione e ci sono difficoltà per l’accesso di mezzi umanitari a causa dei vari posti di blocco. A seconda di chi controlla una zona che il convoglio deve attraversare, bisogna sostenere una sorta di autorizzazione informale, per cui l’effettivo raggiungimento della destinazione finale richiede un tempo maggiore.

D. – Il Sud Sudan vive di fatto una guerra civile da oltre due anni. Quali sono stati i motivi che hanno fatto scoppiare la violenza?

R. – La causa fondamentale, alla radice, è stato il disaccordo politico tra le due parti in gioco, tra il presidente e il suo vicepresidente all’epoca dei fatti. L’opposizione per il potere politico si è poi tramutata in opposizione anche a livello tribale. E quindi il conflitto si è esteso in altre zone del Paese.

D. – Come radio cattoliche, quale messaggio della Chiesa locale trasmettete affinché ci sia una pacificazione definitiva nel Paese, ma anche per risolvere problemi quali la bassa scolarizzazione?

R. – Da un lato, c’è l’invito al dialogo e a trovare mezzi non violenti per la soluzione e il confronto verbale. E poi ci sono messaggi un po’ più pratici per ovviare alla situazione quotidiana che le persone affrontano. Abbiamo diversi programmi che cercano di diffondere messaggi di varia natura: dalla promozione dei diritti della persona, a informazioni pratiche su dove trovare servizi sanitari, all’importanza dell’educazione, che sicuramente è la chiave per poter risolvere il conflitto nel lungo periodo.








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