2016-01-12 08:04:00

Siria, civili stremati, convocato Consiglio di Sicurezza Onu


La gravissima situazione umanitaria della popolazione civile in Siria sarà discussa, oggi pomeriggio a New York, dal Consiglio di sicurezza dell’Onu. Sono intanto cominciati ad arrivare ieri sera gli aiuti della Mezzaluna Rossa in tre località assediate, tra cui Madaya, la cittadina nei pressi di Damasco, dove secondo la denuncia di Medici senza frontiere almeno 23 persone sono morte di fame dall’inizio di dicembre. Il servizio di Roberta Gisotti:

Cibo e medicine stanno finalmente giungendo per 60 mila siriani assediati nella provincia di Idlib e dovranno bastare per un mese, ma sono 400 mila i civili che secondo l’Onu sono ridotti alla fame in varie aree del Paese, accerchiati dall’una o dall’altra delle forze in campo, in un sanguinoso conflitto che si trascina ormai da quasi 5 anni. “Abbiamo bisogno che gli aiuti arrivino a tutti coloro che ne hanno bisogno”, ha dichiarato l’ambasciatore neozelandese Bohemen che, insieme al collega spagnolo, ha sollecitato la riunione a porte chiuse del Consiglio di Sicurezza per sostenere la popolazione civile siriana, in attesa di una possibile soluzione pacifica del conflitto. Un nuovo incontro tra delegazioni del governo e delle opposizioni si terrà il 25 gennaio a Ginevra. Intanto, sul terreno proseguono gli scontri e i bombardamenti. Nei primi dieci giorni dell’anno, sono state 311 le incursioni aree russe contro oltre mille obiettivi, ritenuti terroristi da Mosca. Una guerra che non risparmia i bambini: 12 le piccole vittime nella provincia di Aleppo di due attacchi tra domenica e lunedì da parte russa e degli insorti.

L'opinione di Silvio Tessari, responsabile della Caritas italiana per il Medio Oriente ed il Nord Africa:

D. – Silvio Tessari come definire oggi lo stato della popolazione siriana?

R. – L’aggettivo è  "catastrofico". Naturalmente, molti ancora resistono nelle zone relativamente tranquille. Però, l’impressione che ho in questi ultimi giorni – se non settimane – è di un grande timore per i moltissimi siriani che sono già andati via e continuano ad andare via e in particolare la comunità cristiana dice: “Di questo passo spariremo tutti”. Io ho anche colto altri segnali: cioè, è sempre stata grave, la situazione, ma ora c’è stato un accordo tra le parti assediate e assedianti – e anche qui non è chiaro chi sia l’uno e chi l’altro – per permettere l’arrivo di un po’ di medicine e di viveri. Però, la situazione era già molto grave almeno da sei mesi, in queste tre cittadine.

D. – Questo allarme forse potrà aiutare nei colloqui di pace che vedranno, il 25 gennaio, a Ginevra, delegazioni del governo e delle opposizioni. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu potrà in qualche modo far pressione?

R. – Non è la prima volta che si tenta di fare questi incontri, e la speranza rimane sempre. E’ piuttosto la speranza del pessimismo della ragione e dell’ottimismo della volontà. Quindi, noi ci troviamo davanti a una generazione e a una popolazione siriana che vivono come proprio in un tunnel, cioè non vedono futuro.

D. – La popolazione che è rimasta in Siria è quella più povera, che non ha potuto organizzarsi per espatriare?

R. – Sì, ma bisogna anche pensare che in Siria ci sono un numero di milioni stimato tra cinque e sei – anche sette, addirittura – di persone sfollate che sono fuggite dai loro villaggi, dalle loro città di origine, e vagano dove riescono a trovare un po’ di rifugio, e sono certamente le più povere. Da notare che "più povere" vuol dire anche classe media, ormai, cioè persone anche di una certa cultura che comunque non sono riuscite a scappare. Cioè, non è solo la possibilità concreta: è proprio non farcela. Quelli che - mi dicevano per esempio i nostri colleghi della Caritas di Damasco - fino a ieri erano assediati a Madaya, erano persone di una città relativamente moderna, quindi non erano poveri. Però erano assediati, quindi non potevano fuggire. Diciamo che ci sono i due gruppi: i più poveri, che ovviamente non sono potuti fuggire, e quelli che magari poveri non erano ma vivono in una condizione di tale insicurezza e di assedio vero e proprio che non riescono a farlo.








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