2016-01-09 10:55:00

Messico: arrestato il boss dei narcos, ma resta molto da fare


Arrestato in Messico il boss dei narcos, Joaquín Guzmán, chiamato El Chapo. Era ricercato da luglio dopo la sua seconda evasione da un carcere di massima sicurezza. Ad ottobre l’uomo venne ferito durante un’operazione di polizia per catturarlo in una zona montuosa del Paese. Grande la soddisfazione del presidente Enrique Peña Nieto che ha parlato del trionfo dello stato di diritto e ha ringraziato le forze di sicurezza per l’impegno. Eugenio Bonanata ha intervistato Roberto Da Rin, inviato del Sole 24 Ore ed esperto di questioni latino americane:

R. – Quello di Joaquín Guzmán, detto El Chapo, è un arresto che fa notizia, perché si tratta di uno dei più importanti narcotrafficanti del Messico. E’ stato arrestato, forse, per eccesso di vanità. Si stava, infatti, accingendo a girare un film sulla sua vita. Quindi i suoi pretoriani, coloro che lo proteggevano, avevano fatto affluire delle attrici, delle modelle, dei registi. E tutto questo ha provocato delle fughe di notizie ed è stato possibile arrestarlo.  

D. – Cosa dire della soddisfazione espressa dalla presidenza messicana?

R. – In verità, la piaga del narcotraffico è quanto mai aperta e soprattutto densa di significati politici, che non sono rassicuranti per il vertice del governo. Innanzitutto, perché i 100 mila morti che, negli ultimi dieci anni, si sono registrati in Messico sono la dimostrazione chiara di un problema irrisolto nei rapporti politici interni. Si parla, quindi, di un sistema giudiziario totalmente inefficace e che garantisce, soprattutto, una sostanziale impunità e poi di una corruzione diffusa all’interno del Paese. Ci sono poi le problematiche di politica estera, cioè di accordi mai siglati con gli Stati Uniti che rappresentano, come tutti sanno, il principale mercato di sbocco della droga che arriva dal Messico e da altri Paesi latinoamericani.

D. – Quali sono le misure che servono per imprimere un passo in avanti significativo alla lotta al narcotraffico?

R. – Innanzitutto il problema delle armi, che sta affrontando proprio in questi giorni Obama negli Stati Uniti: le armi che armano i narcotrafficanti arrivano tutte dagli Stati Uniti. Poi, naturalmente, c'è la porosità dei confini tra Messico e Stati Uniti che consente il flusso quotidiano di varie tonnellate di droga. Poi, ogni tanto, viene catturato un narcotrafficante e quindi si finge di perpetuare una lotta al narcotraffico che in verità non c’è: non è strutturata, non è pensata, non è messa in pratica. Quindi, bisognerebbe ripartire da una scelta politica definita da parte dei messicani e naturalmente condivisa e appoggiata dagli Stati Uniti.

D. – Si parla di una possibile estradizione di El Chapo negli Stati Uniti. Questa volta andrà finire davvero così?

R. – Questo nessuno lo può dire. Vedremo. Si toglie, però, un capo narcos dalle carceri messicane e lo si mette in un carcere nordamericano. Lì finisce e si esaurisce la strategia. Quindi se tutto questo non viene accompagnato da un tavolo di trattative bilaterali tra Messico e Stati Uniti, anche l’estradizione di El Chapo non sarà un fatto significativo.

D. – Che tipo di atteggiamento ha l’opinione pubblica, la società civile di fronte al fenomeno e agli arresti?

R. – Con un evento che tutto il mondo ha conosciuto, quello dei 43 studenti uccisi, più di un anno fa, c’è stato uno scossone: l’opinione pubblica in qualche modo ha cercato di interessarsi di più. La poca chiarezza con cui il governo si è mosso per arrivare a dirimere la questione dei responsabili ha sollevato l’opinione pubblica. Poi, naturalmente,  i mesi sono passati, altre notizie hanno dominato i giornali, compresa la crisi economica che il Messico sta attraversando, e questa cosa è caduta inevitabilmente nel dimenticatoio.








All the contents on this site are copyrighted ©.