2016-01-08 15:00:00

Libia-Ue: dopo le stragi serve subito un governo nazionale


All’indomani della doppia offensiva jihadista che ha investito la Libia con decine di vittime, oggi la parola passa alla diplomazia. C’è attesa a Tunisi per il vertice tra l’Unione europea e il Consiglio di presidenza libico con al centro il sostegno internazionale concreto alla formazione di un governo di unità nazionale, sulla base dell’accordo sancito con la mediazione dell’Onu nel dicembre scorso. Il servizio di Gabriella Ceraso:

Con un messaggio su Internet i combattenti del sedicente Stato islamico hanno rivendicato l'attentato avvenuto ieri con un'autobomba, contro un posto di blocco all'entrata orientale di Ras Lanuf, nell'Est della Libia dove i jihadisti da giorni, combattendo contro le milizie tribali, puntano ad arrivare al terminal petrolifero di al Sidra. Almeno 6 i morti. Decine invece le vittime, a Zlitan, vicino Misurata, dove l’Is, che in Libia conta 10mila adepti per lo più stranieri, ha causato sempre ieri una strage kamikaze presso una caserma della Guardia costiera. Due dunque i fronti battuti dalla controffensiva del Califfato: verso Ovest, per allargare l’enclave intorno a Sirte e lanciare un avvertimento a chi in quell’area si prepara alla resistenza forte dell'alleanza internazionale; e verso Est, cioè verso la "mezzaluna del petrolio", cuore ricco del Paese che si intende sottrarre al nascente Stato unitario libico - frutto del faticoso accordo tra Tripoli e Tobruk- che dovrebbe insediarsi a febbraio. Oggi la parola d’ordine della diplomazia è "fare presto", dare concretezza all’accordo politico sancito a dicembre con il sostegno della comunità internazionale. A questo scopo, l’incontro a Tunisi tra l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, i membri del Consiglio di presidenza libico e il premier Fayez al-Sarraj incaricato di formare un governo di unità nazionale.

Con gli attacchi stragisti di ieri, in particolare a Zlitan, stiamo assistendo ad una strategia espansionistica dell’Is? E con quali obiettivi? Gabriella Ceraso ne ha parlato con Antonio Morone, docente all’Universita’ di Pavia ed esperto di Storia dell’Africa:

R. – La strategia sicuramente è quella di approfittare della congiuntura complicata e complessa dell’attuale fase politica di trattative tra i due fronti. Gli obiettivi sono molti: il petrolio, le risorse libiche, indebolire più in generale la transizione libica. Però, probabilmente, quello che alcune analisi non colgono è un significato un po’ più profondo. Zliten è storicamente una città molto importante, perché è sede di una delle più importanti moschee e tomba di un famoso santo islamico, venerato in buona parte del Maghreb, e sicuramente attaccare Zlitan ha soprattutto il significato di colpire una certa interpretazione dell’islam che è ovviamente opposta a quella dell’estremismo. Non è probabilmente un caso che nel 2012 alcuni gruppi fondamentalisti avessero già attaccato, e in effetti fatto saltare, parte della moschea che tra l’altro ospitava una delle più rinomate università islamiche. Come dire: questo dimostra che in effetti l’Is non è qualcosa di nuovo, ma si appoggia su una storia più o meno recente di radicalizzazione dell’islam, anche in Libia, e questa è probabilmente la partita più importante nel Paese, perché ovviamente la risposta alla minaccia dell’Is, può venire anche attraverso l’appoggio internazionale ma dev’essere soprattutto una risposta libica.

D. – Effettivamente, però, manca il concreto: chi dovrebbe essere la nuova leva politica in Libia sembra pensare di più – nonostante il pericolo dell’Is – al controllo delle istituzioni, alle lotte per il potere che ad altro. Che cosa manca?

R. – Al momento, il famoso accordo non sembra essere ancora condiviso da tutte le parti in lotta e soprattutto sembra ancora essere accettato con molte riserve da parte di Misurata, che sicuramente è il vero potere in Libia. Il problema, ovviamente, dalla parte dei mediatori internazionali, è che più si spinge e più il rischio è che l’accordo venga percepito come qualcosa di esterno, di imposto da parte di una buona parte della leadership libica e quindi di fatto poi rigettato.

D. – Un eventuale intervento militare non può scattare senza un accordo sul terreno, quindi questo non può in nessun modo “impaurire” l’espansionismo dell’Is?

R. – Io rimango del parere che l’espansionismo dell’Is sarebbe felice di un intervento internazionale: probabilmente è proprio quello a cui mira. Anche l’idea, si leggeva su alcuni giornali libici, di far compiere in effetti il gesto a Zlitan ad un kamikaze tunisino, in effetti può avere anche un po’ l’obiettivo di alimentare questa tensione che già è assolutamente evidente tra i due Paesi, tra Libia e Tunisia. Non dimentichiamoci che la Tunisia, dopo l’attentato di qualche settimana fa durante la settimana internazionale del cinema di Tunisi, che ha fatto saltare un autobus in pieno centro con dei soldati della guardia presidenziale, uno dei primi effetti è stato quello di sigillare la frontiera con la Libia avendo in mente che, appunto, la Libia ormai è parte dei problemi interni della Tunisia però al tempo stesso non si deve dimenticare che la stessa crisi libica ha un versante tunisino, perché molte di queste persone che vengono definite come "dell’Is" provengono dalla Tunisia. Sicuramente quindi, ribadisco, un intervento internazionale non farebbe altro che fare il gioco dell’estremismo che trae il massimo dalla conflittualità e dalla destabilizzazione.








All the contents on this site are copyrighted ©.