2016-01-03 13:44:00

Arresti a Teheran dopo l'assalto all'ambasciata saudita


Resta alta la tensione tra Iran e Arabia Saudita dopo l’esecuzione, da parte di Riad di 47 condannati, tra cui l’imam sciita al Nimr, considerato uno dei maggiori oppositori sauditi. La guida suprema iraniana Khamenei ha invocato la 'vendetta divina' sui politici di Riad. Quaranta le persone arrestate a Teheran per l’assalto di ieri sera all’ambasciata saudita, atto condannato dal presidente iraniano Rohani, secondo cui si è trattato di un gruppo di estremisti. La cronaca nel servizio di Elvira Ragosta:

Tra le reazioni del mondo sciita, l’assalto all’ambasciata saudita in Iran è stata la più feroce. Decine di manifestanti ieri sera hanno lanciato bombe incendiarie contro la rappresentanza diplomatica di Riad. In quaranta sono stati arrestati dalla polizia. L’ayatollah Khamenei ha espresso via web la sua condanna, per l’esecuzione di al Nimr, invocando “la vendetta divina sui politici sauditi per l'illegittimo spargimento di sangue di un martire”. Il leader sciita, era l’imam della moschea di Qatif e uno dei maggiori oppositori sauditi. Nel paese a maggioranza sunnita, al Nimr nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province sciite ed era stato tra gli organizzatori delle proteste scoppiate nel 2011 sull’onda delle cosidette primavere arabe. La tensione tra i due Stati si è concretizzata anche nelle reciproche accuse. Se Teheran ha bollato le 47 esecuzioni capitali di Ryad come atto di terrorismo, per l’Arabia Saudita è l’Iran a sostenere il terrore. Moderazione all’Arabia Saudita sul fronte del rispetto dei diritti umani è stata chiesta dagli Stati Uniti, tramite il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Ben Rhodes, che a Riad chiede anche una riduzione delle tensioni nella regione.

Ma quanto può pesare questa escalation di tensione tra Iran e Arabia Saudita nella geopolitica della regione? Elvira Ragosta lo ha chiesto a Fulvio Scaglione, direttore di Famiglia Cristiana web:

R. – Il conflitto tra sciiti e sunniti, rappresentato in questo momento soprattutto da Arabia Saudita e Iran, va avanti da molti secoli, perlomeno, è acutissimo negli ultimi decenni e non credo saranno queste esecuzioni a cambiarne la natura e la radicalità. Credo che queste esecuzioni siano un monito all’Occidente, da parte dell’Arabia Saudita, per dire: “Noi siamo l’unico punto di riferimento in Medio Oriente, noi facciamo quello che vogliamo e l’Occidente deve accettare questa alleanza che va avanti ormai da un secolo, a qualunque costo”. Io credo che il vero messaggio sia questo, perché sciiti e sunniti, Iran e Arabia Saudita si combattono da tempo su talmente tanti fronti che certamente l’esecuzione di al Nimr, per quanto clamorosa, non può influire su questo quadro.

D. – Qual è il ruolo dei due Paesi nella lotta al sedicente Stato islamico?

R. – Certamente, è più deciso, è più convinto – per tante ragioni – il ruolo dell’Iran, nella lotta contro l’Isis. Per i movimenti radicali, estremisti, terroristici islamici che operano nel cosiddetto “Siraq”, tra Siria e Iraq, l’Arabia Saudita è stata fomentatrice, finanziatrice, organizzatrice, armatrice … Che poi abbia preso le distanze dall’Isis, non prendendole però da tutta una galassia di movimenti che sono sostanzialmente analoghi, conta poco. Certamente l’Iran in questo momento, per ragioni di interesse politico, ovviamente, è molto più convinto nella battaglia contro l’Isis. D’altra parte, l’Arabia Saudita è diventata da due anni il primo acquirente mondiale di armi, e queste armi non possono certo accumularsi in Arabia Saudita: queste armi vanno da qualche parte. E vanno, ovviamente, in parte anche sul fronte siriano.

D. – Secondo lei, quali scenari si possono aprire, nell’immediato presente?

R. – Non credo che cambierà moltissimo, se non che ovviamente ci sarà ancora un inasprimento, però delle stesse tensioni che abbiamo visto in opera in questi anni. E qui il punto vero è l’atteggiamento dell’Occidente: l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’Arabia Saudita deve cambiare perché l’Arabia Saudita gode – ormai da decenni – di un’impunità che sta diventando veramente devastante.
 

Del braccio di ferro tra Iran e Arabia Saudita Elvira Ragosta ha parlato anche con Gabriele Iacovino, analista del Cesi (Centro studi internazionali):

R. – Queste esecuzioni avvenute in Arabia Saudita non sono altro che l’ultimo episodio di un’escalation anche di toni tra le due potenze regionali. Da una parte, abbiamo un Iran che negli ultimi mesi, nell’ultima parte del 2015, si è affacciato nuovamente sulla scena internazionale, dall’altra parte, abbiamo un’Arabia Saudita preoccupata di questa ascesa di influenza iraniana, e abbiamo anche una serie di crisi in cui si sta vedendo appunto la contrapposizione tra Iran e Arabia Saudita, tra Teheran e Ryad. Abbiamo visto l’Iraq, abbiamo visto la Siria ma vediamo anche come lo Yemen sia nuovo territorio di scontro e di influenza nella regione tra le due potenze. Quindi, sì: è una questione che per adesso ricalca i temi religiosi, ma inevitabilmente ha e avrà e continuerà ad avere delle ripercussioni politiche nella regione.

D. – Gli sciiti rappresentano una minoranza nel mondo islamico, rispetto ai sunniti; e in Arabia Saudita sono il 5 per cento. Secondo alcuni, dietro all’esecuzione dell’imam al Nimr ci sono anche interessi economici: il leader sciita nel 2009 aveva fatto appello alla secessione delle province orientali, ricche di petrolio …

R. – Più che reali interessi economici, c’è una questione di fatto: è una minoranza, quella sciita ma è una minoranza che abita la regione ricca dell’Arabia Saudita, dove di fatto ci sono tutti i giacimenti di petrolio e ci sono tutte le infrastrutture petrolifere. E’ qui un altro territorio di scontro, non solo religioso ma di fatto anche politico e, inevitabilmente, economico. La minoranza sciita in Arabia Saudita non ha la forza politica per chiedere una secessione, però di fatto è una questione che è sempre all’ordine del giorno della casa regnante, innanzitutto da un punto di vista di sicurezza, perché di fatto il controllo della sicurezza di quella regione è fondamentale per le finanze saudite, essendo lo Stato dell’Arabia Saudita fondato sull’industria petrolifera. E' l’unica entrata per le casse della casa regnante …

D. – Come interpretare la reazione che si è registrata in Iran?

R. – E’ una reazione politica forte, perché di fatto se qualcosa avviene a Teheran davanti all’ambasciata saudita, è perché le autorità iraniane lo vogliono. E’ un segnale forte all’Arabia Saudita, è un segnale di escalation dei toni. E, difatti, potrebbe anche essere un problema per il proseguo dei negoziati, primo fra tutti quello di Vienna, ma anche per quanto riguarda la questione Iraq. Làddove in Medio Oriente vi è una dialettica sunnismo contro sciismo, per quando riguarda l’influenza e la divisione del potere, questo episodio avrà delle ripercussioni.








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