2015-12-21 14:25:00

Yemen, nessun accordo e pace ancora lontana


Sullo Yemen, nessun accordo ma si parla di progressi al termine dei sei giorni di colloqui in Svizzera. Le parti si sono impegnate a proseguire le trattative il 14 gennaio e la delegazione a guida saudita e quella dei ribelli Houthi hanno concordato per creare una commissione bilaterale di distensione. Quali sono gli sviluppi possibili per una tregua in Yemen? Veronica Di Benedetto Montaccini lo ha chiesto a  Eleonora Ardemagni, ricercatrice dell'Ispi esperta dell'area medio orientale:

R. – I nuovi progressi ottenuti nei sei giorni di colloqui a Ginevra sono stati ottenuti principalmente per il fatto che si siano seduti allo stesso tavolo i rappresentanti delle due delegazioni. Questo è già un evento nuovo rispetto alla precedente tornata di negoziati, nel giugno scorso, in cui le due delegazioni non si sono mai incontrate direttamente ma hanno sempre parlato attraverso il delegato Onu.

D. – Il mediatore Onu in Yemen, Ismail Ould Cheikh Ahmed, ha riferito che la delegazione saudita e quella dei ribelli Houthi hanno concordato una "commissione bilaterale di distensione". Come si potrà ora evolvere il dialogo?

R. – Questi sei giorni di colloqui hanno, comunque, aperto uno spiraglio su due questioni fondamentali, che sono lo scambio di prigionieri come nodo centrale per risolvere i negoziati e gli aiuti umanitari. Il progresso è che le due parti non hanno sospeso e non hanno abbandonato mai il tavolo negoziale.

D. – Quali strategie militari sono in campo? Ci sono anche soldati mercenari che combattono da entrambe le parti?

R. – I miliziani sciiti, gli Houthi e i reparti dell’esercito ancora fedeli all’ex presidente Saleh sono un’alleanza militare di tipo ibrido, fra una milizia  e reparti dell’esercito tradizionale. Dall’altra parte abbiamo l’esercito regolare - molto debole, perché si base su lealtà tribali - e una serie di milizie, sia indipendentiste del sud che di tipo salafita jihadista, che sono invece sostenute dall’Arabia Saudita e che insieme combattono contro gli Houthi, ma non per il ripristino di un sistema di potere come quello che c’è stato finora. Ci sono anche milizie composte da soldati mercenari, con numerosi soldati sudamericani e in particolare colombiani, che sono stati ingaggiati recentemente dagli Emirati Arabi Uniti.

D. – Mentre si parla di negoziati, si continua a combattere e a violare il cessate-il-fuoco. Ci saranno altre tregue per riuscire a fronteggiare la forte crisi umanitaria?

R. – Per quello che riguarda gli aiuti umanitari, non bisogna dimenticare mai che lo Yemen era un Paese in profondo malessere sociale ed economico già prima dell’inizio di questo conflitto. Lo Yemen è il Paese più povero del mondo arabo e il blocco navale ed aereo, che la coalizione a guida saudita ha imposto, ha fatto precipitare questo Paese in una situazione umanitaria già molto drammatica precedentemente.

D. – L’instabilità che sta vivendo lo Yemen ha radici molto lontane. Nel 1990 si sono uniti Yemen del Nord e Yemen del Sud con dei problemi già da questo momento. Come si è inserita la minoranza dei ribelli Houthi in questo contesto?

R. – Il conflitto yemenita ha radici lontane e ha soprattutto radici interne. Il contrasto fra il potere politico militare di Sana’a, la capitale, e i gruppi tribali locali periferici del nord e del sud è sempre stato forte, proprio perché queste tribù del nord e del sud hanno – per ragioni diverse – rivendicato sempre maggiori autonomie territoriali e risorse economiche che, invece, Sana’a ha trattenuto. Gli Houthi sono una parte strutturale dello scenario yemenita, nel senso che sono un movimento politico, ma anche un movimento religioso e militare, che nasce negli anni Ottanta, all’interno degli sciiti zayditi dello Yemen, proprio per reazioni alle politiche di Sana’a che tendevano a marginalizzare il movimento sciita, che è una parte storica dello scenario yemenita che vuole far sentire le sue ragioni.








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