2015-12-21 19:59:00

Voto Spagna: la sinistra non sostiene Rajoy


C’è clima di grande incertezza politica in Spagna all’indomani dello storico voto che ha visto affermarsi il Partito Popolare del premier Rajoy ma senza la maggioranza assoluta. Finita l’epoca del bipartitismo durato quarant’anni, con l’alternanza tra popolari e socialisti, dunque il nuovo governo dovrà essere di coalizione altrimenti il rischio è di tornare alle urne il prossimo anno. Ma le alleanze si profilano difficili. Ne soffre la borsa di Madrid, mentre l’Ue esprime l'auspicio al più presto di un governo stabile. Il servizio di Gabriella Ceraso:

E’ un vero e proprio scivolone quello della borsa di Madrid che si porta dietro tutte le piazze europee .Persi oltre tre punti percentuali con uno spread  che vola all'1,8% ai massimi da novembre. A pesare soprattutto l’incerta formazione del prossimo governo. "Serve un compromesso storico” fa sapere Pablo Iglesias leader di Podemos, la sinistra che, con 69 seggi, è diventata la terza forza politica del Paese e la prima in Catalogna, dopo popolari e socialisti. Iglesias chiede una riforma della costituzione in cinque punti e soprattutto si oppone ad un possibile governo con i popolari di Rajoy annunciando a breve un giro di consultazioni con altre forze politiche. Un no "all'investitura” di Rajoy perché "le urne chiedono cambiamento" arriva anche dai socialisti. Dunque a popolari, prima forza politica con il 28% comuqnue intenzionata a provare un nuovo esecutivo, resterebbero come alleati possibili i liberali di Ciudadanos, al quarto posto ma con solo 40 deputati, il che fa escludere l'ipotesi di un governo di coalizione di centrodestra. "Sara' necessario parlare molto, dialogare di piu', arrivare a intese e accordi", prevede lo stesso Rajoy. Intanto dalla Commissione europea, arriva l'auspicio che al più presto la Spagna formi "un governo stabile", mentre il premier italiano Renzi coglie l’occasione dell'esito elettorale per lodare la riforma italiana. "Benedetto l'Italicum" che offre "un vincitore chiaro", commenta, e poi aggiunge: "la Spagna di oggi mi sembra l'Italia di ieri".

Per un commento sul voto Giancarlo la Vella ha sentito il prof. Alfonso Botti, ispanista dell’Università di Modena e Reggio Emilia:

   

R. – Era in gran parte un risultato previsto, perché tutti i sondaggi dicevano che i due partiti tradizionali - socialisti e popolari -  non avrebbero raggiunto la maggioranza assoluta dei 176 seggi necessari per governare; d’altra parte tutti i sondaggi davano come fortemente in crescita le due nuove forze politiche “Podemos” e “Ciudadanos”. Le urne hanno confermato queste previsioni e hanno presentato un volto nuovo della Spagna: la Spagna ha voltato pagina. E’ finito il periodo del bipartitismo ed inizia ora una situazione più complicata per quello che riguarda le formazioni delle maggioranze: non a caso un articolo de “El País” titola oggi “Bienvenidos a Italia” (Benvenuti in Italia), benvenuti cioè in una situazione politica nella quale è necessario mediare, fare alleanze e fare coalizione. Cosa, questa, che non è avvenuta mai nella storia spagnola degli ultimi 30 anni.

D. – Ci troveremo di fronte ad un governo inedito tra Popolari e Socialisti o addirittura ad un esecutivo di ancora più ampie intese?

R. – Questo è difficilissimo dirlo ora. La Costituzione spagnola, all’art. 49, dice che nella seconda votazione per l'investitura è sufficiente una maggioranza semplice. Io credo che Rajoy, cui tocca il compito di formare il governo, proverà a sondare e negoziare con le forze politiche, ma soprattutto con le forze politiche nazionaliste, che continuano e che continueranno ad avere un ruolo nel quadro politico spagnolo per ottenere questa astensione che gli potrebbe consentire l’investitura e quindi la conferma alla presidenza del governo. Ma lo stesso percorso – dovesse fallire Rajoy – sarà quello che farà Pedro Sanchez. In ogni caso se uscirà un governo, qualunque esso sia, sarà un governo profondamente diverso da quelli precedenti, perché dovrà basarsi appunto su alleanze e su coalizioni, su intese e su negoziati, che in passato sono stati molto ridotti e molto limitati. Se non dovesse riuscire, la Costituzione prevede due mesi di tempo dal primo voto di investitura per tornare nuovamente alle elezioni.

D. – Qual è stata la vera novità di queste elezioni?

R. – Io ne vedo due di novità. Da una parte il crollo del Partito Popolare, che ha preso sì più voti degli altri, ma non ha vinto; rispetto alle elezioni del 2011 ha perso quasi 16 punti percentuali, ha perso 63 seggi, ha perso tre milioni e mezzo di voti. Quindi è vero che ha preso più voti degli altri, ma li ha presi con un risultato estremamente negativo. Lo stesso – anche se in proporzioni ridotte e minori – è avvenuto per il Partito Socialista. Questo, quindi, da un lato. Dall’altro, io credo che il dato nuovo sia la straordinaria vittoria di “Podemos”, che in un anno è riuscito a conquistare quasi 5 milioni di elettori e 69 seggi.

D. – “Podemos”, tra l’altro, è il primo partito in Catalogna: questo vuol dire che l’effetto indipendentismo ha avuto la meglio…

R. – Da un certo punto di vista, perché “Podemos” in Catalogna è arrivato a fatica a riconoscere la necessità della celebrazione di un referendum, ad essere d’accordo su un referendum… Quindi bisogna fare molta attenzione, perché in Italia questo spesso si confonde. Ci sono tanti catalani e catalanisti che vogliono fare il referendum, ma che non sono d’accordo sull’indipendenza: rivendicano semplicemente un diritto a decidere. “Podemos” si è schierato su questa posizione, ma sono tantissimi quelli che all’interno di “Podemos” non sono indipendentisti. D’altra parte una delle forze più indipendentiste della Catalogna, “Convergència i Unió”, che si presentava con un’altra sigla con un coalizione e che è sempre stata il primo partito, è diventata il quarto partito…

D. – Come analizzare questo voto in chiave europea?

R. – Esce rafforzata, con la vittoria di “Podemos” e il risultato degli altri partiti, una adesione all’Europa che non sia sulle posizioni dell’austerità, ma che sia invece sulle posizioni dello sviluppo. Non bisogna dimenticare che tutte le forze politiche spagnole – tutte, sia le grandi che le piccole, quelle diffuse su tutto il territorio dello Stato e quelle nazionaliste – sono europeiste e di contro in Spagna non si è presentata e non ha alcuno spazio una forza politica antieuropeista.








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